I cani abbaiavano come forsennati come se da un momento all'altro dovesse accadere una catastrofe, un terremoto o qualcosa di simile. In realtà sentivano l'odore del carnefice, l'uomo che ogni giorno banchettava con la loro carne. L'istinto animale, si sa, va oltre l'intuito umano e al passaggio del Mago le bestie erano assalite dal panico.
Dalla stretta via di Mezzo si vide spuntare un uomo magro, con pizzo bianco e un filo di barba, un cappello a cilindro in testa e un bastone nero smaltato. Nel semplice attrezzo da passeggio in realtà si celava una spada affilatissima con cui lo spietato Mago trafiggeva e scuoiava le bestiole. “La carne canina è buona e saporita ha un delizioso aroma di tartufo”, diceva sempre ad un giovane di nome Guglielmo, compagno fedele di quella lugubre merenda.
Nel paese erano ormai rimasti quattro cuccioli meticci scarni e macilenti. Mangiavano pochissimo, per garantirsi la sopravvivenza, sembrava sapessero che se avessero preso quei quattro/cinque chili in più il Divoratore li avrebbe ammazzati senza pietà.
La popolazione del piccolo borgo nell'alto Sangro restava indifferente alle abitudini culinarie del Mago, nessuno lo odiava, al contrario era molto riverito e rispettato. Gli abitanti si recavano da lui per qualsiasi acciacco o malanno. Aveva un potere taumaturgico. A volte bastava che imponesse le mani sulla fronte del paziente di turno per far sì che il mal di testa sparisse. Era un profondo conoscitore delle erbe terapeutiche che rilassavano e davano sollievo a chiunque fosse affaticato dalla vita.
Il pensiero fisso del Divoratore era per il figlio residente a Napoli per motivi di studio, iscritto da 3 anni alla Facoltà di Medicina. Il giovane era a conoscenza dei poteri del padre e se ne teneva a debita distanza. Aveva capito che quella forza soprannaturale gli proveniva dalla carne di cane. Non si spiegava come, ma questo terribile segreto se lo portava dentro fin da quando era ragazzo. Quando il padre in ogni occasione gli ricordava di dargli la mano sinistra in punto di morte per ricevere in eredità i poteri. L'antico rituale prevedeva che il discepolo ponesse la mano sinistra nella destra del maestro.
Il momento arrivò. Un telegramma giunto a Napoli avvertiva il giovane delle gravi condizioni in cui versava l'anziano genitore. Si precipitò nel villaggio natio nell'entroterra abruzzese. Una volta giunto al capezzale del padre si rese subito conto della situazione. Al vecchio Divoratore non rimanevano che poche ore di vita. Gli accarezzò la testa e gli rivolse qualche parola.
A tarda notte una cugina andò a svegliare il futuro medico. Il padre aveva richiesto la sua presenza con urgenza. Arrivò di corsa nella stanza del malato, prima di vedere il prete per l'estrema unzione volle rimanere solo con il figlio. Gli disse di dargli la mano, ma il giovane prese un manico di scopa e lo fece afferrare dal Mago. Subito dopo la scopa si mise a ballare nella camera per circa mezz'ora. Alla scena fecero in tempo ad assistere il prete e la cugina che nel cuore della notte aveva svegliato il curato. L'uomo di Dio alla vista di quello spettacolo si segnò e invitò i presenti a fare lo stesso. Dopodiché somministrò l'ultimo sacramento al morituro che pochi minuti dopo spirò.
Il giovane aveva rifiutato i poteri che il padre voleva tramandargli. Sapeva che per mantenere quella ricchezza avrebbe dovuto cominciare a cibarsi di carne canina. Ma al solo pensiero gli veniva il voltastomaco.
Qualche giorno dopo i funerali, prima di tornare nella bella Napoli, iniziò a ripulire la casa. In cantina però trovò il macabro spettacolo. Su un palo era infilzata la testa di un cane grondante di sangue; appesi su una vecchia rete da letto tre cosci macellati di fresco con la carne marinata con una salmistratura per ricavarne dei prosciutti. Accanto un grosso vello di pelle scuoiata appeso ad essiccare su un telaio. Poco più avanti il tronco toracico con le interiora ancora attaccate assieme ai resti della coda e pezzi della tibia, già cotti e spolpati. Il giovane non resistette. Scappò lontano dalla scena. Appena fuori diede sfogo a quei conati di vomito che piano piano gli salivano dallo stomaco.
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