Da qualche giorno in Italia è scoppiata una bomba. Anzi è partito un siluro da una vecchia nave prussiana, gira a vuoto questo benedetto siluro che della bandiera del II° Reich bismarchiano porta i colori. La storia è ormai nota a tutti, un giornalista, una caserma dei carabinieri (italiani), una finestra galeotta, una bandiera, Salvini che mitraglia come il Batistuta dei bei tempi; i protagonisti.
Matteo Calì cammina per i fatti suoi in un anonimo pomeriggio dicembrino, ha l’occhio svelto del giornalista d’inchiesta e quello che vede appeso al muro degli alloggi dei carabinieri lo rende scettico, Matteo non lo sa, ma sta per mettere il dito in una ferita mai guarita: la Guerra Civile, la nostra. Ma andiamo per ordine. Calì si ferma, direziona la telecamera verso la finestra della caserma, poi la gira verso di sé e pone un quesito: una bandiera del Secondo Reich tedesco - legale ma spesso sventolata nei cortei delle estreme destre europee moderne - ci può stare in un alloggiamento militare italiano? Punto.
Poco più di un minuto di filmato. Una domanda. Del resto fa il giornalista nella vita, non il capitano di corvetta. Quindi tutto nella norma, almeno in teoria. Tutto ciò che accade dopo non ha niente di normale invece, è un esplosione di rabbia che viene da lontano e spacca l’opinione pubblica in due: indignati e incazzati. A sinistra gli uni, a destra gli altri. Di vie di mezzo nemmeno l’ombra.
La Guerra civile del 1943-45 riapre le sue enormi fauci per sbranare questo già lacero Paese.
Non prendiamoci in giro, della Prussia, di Bismarck, della Marina del Kaiser non ce ne frega niente a nessuno. Non è quello il punto. Non lo sono nemmeno più di tanto i cd. neonazisti che sventolano la vecchia bandiera marinara perché la svastica è bandita. Ci scanniamo a suon di post su Facebook, da giorni, con un livore schiumante, un rancore profondo, troppo profondo per nascere da un fatto di per sé trascurabile.
Giorgio Bocca, perfetto esempio delle italiche contraddizioni - prima con i neri, poi con i rossi, senza un briciolo di autocritica per carità - ha fotografato quello che siamo con il titolo di un suo libro: Fratelli coltelli. Lo siamo stati, lo siamo tutt’oggi.
Quel dolore immenso della guerra fratricida che per due anni ha corroso l’Italia è sempre lì, sotto la cenere il fuoco brucia ancora. La Storia l’hanno fatta i vincitori, ma l’hanno fatta male. Sulla pelle dei fratelli vinti. Ed eccoli quindi sempre divisi gli italiani, dopo settant’anni, gli indignati (i vincitori di un tempo), gli incazzati (i vinti).
Finché non saniamo questo conflitto del passato non abbiamo un futuro.
Paolo Sebastiani, avvocato (nessuno è perfetto!), accanito bibliofilo, ama la Storia che approfondisce con Winston, il suo bulldog inglese.
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