In questi giorni a Firenze, a seguito di alcune infelici dichiarazioni rilasciate da Gianfranco Teotino (il nuovo responsabile della comunicazione sportiva e istituzionale della società) su Giancarlo Antognoni, si è rafforzato sensibilmente il dissenso nei confronti della Società Viola.
Tranne che per qualche sbarbatello che non ha avuto l'onore di poter assistere dal vivo ad una partita di Giancarlo con la maglia Viola e non conosce bene la storia, dal resto dei tifosi della Fiorentina, l'uscita del responsabile della comunicazione è stata considerata, né più e né meno, come qualcosa di blasfemo. L'aggettivo “blasfemo” non è affatto esagerato se riferito all'Unico 10, poiché egli, più di ogni altro, rappresenta la Fiorentina e l'amore viscerale che provano i veri e sani tifosi Gigliati.
Giancarlo esordì in maglia Viola, a diciotto anni, il 15 ottobre 1972, durante un Verona – Fiorentina; sulla panchina Gigliata sedeva un “certo” Niels Liedholm, il Barone. La partita terminò 2 a 1 per la Fiorentina, a commentare per la Rai c'era un “certo” Sandro Ciotti che descrisse la prestazione di Antonio così: “Ho visto il debutto in Serie A di un ragazzo che gioca guardando le stelle”. Da quel giorno, fino al 1987 (anno in cui lasciò la Fiorentina per concludere la carriera con due stagioni nel Losanna) l'unico titolo che ha messo in bacheca è stato la vittoria della Coppa Italia il 28 giugno 1975. Un po' pochino, penseranno gli stolti, come è possibile, allora, che Giancarlo Antognoni significhi così tanto per i tifosi della Fiorentina? La risposta è semplice, ovvia, scontata. Firenze, la Culla dell'Arte, è storicamente simbolo di “Bellezza”, la Città del Fiore, anche quando nel resto della Penisola si vivevano i cosiddetti “secoli bui”, si distingueva per Civiltà e Cultura: basta pensare a Cimabue, Dante, Lorenzo il Magnifico, Leonardo, Michelangelo e poi alla Camerata de' Bardi (l'Opera lirica è nata a Firenze con l'Euridice)...vedere giocare Giancarlo Antognoni era assistere ad un qualcosa che va al di là di una prestazione sportiva, la sua eleganza e classe cristallina erano pura e semplice arte. Con il numero 10 sul terreno di gioco si poteva volgere le spalle al campo, ma si capiva immediatamente quando gli arrivava la palla tra i piedi: il pubblico si destava, si alzava un anelante brusio, Antonio con nonchalance si liberava degli avversari intorno, spostava il pallone senza guardarlo, a testa alta e poi...“tun”...accarezzava il pallone che si levava alto...a quel punto gli spettatori trattenevano, muti, il fiato e con la testa seguivano la sfera che per quaranta metri correva in cielo, quei pochi secondi sembravano un tempo infinito e quando cadeva a terra, la maggior parte delle volte, smarcava agilmente un compagno di squadra. Ed ecco, prima che l'azione proseguisse, che scoppiava il boato di approvazione per la magnificenza di quella lunga pennellata.
Sfortunatamente, a parte lo scudetto rubato dell'ottantadue, attorno al perugino non fu mai costruita una squadra in grado di competere costantemente per la vittoria del Campionato, gli squadroni del Nord e anche la Roma tentavano ogni anno di portare via da Firenze la sua Stella, ma, rinunciando a successi e guadagni, Giancarlo non ha mai tradito Firenze. L'amore era ed è reciproco: quindi indissolubile. Quando si ama davvero, si ha “le farfalle nello stomaco”, non si rinuncerebbe alla propria metà per niente e nessuno: questo è Antognoni per Firenze e Firenze per Antognoni!
Ci sarebbero mille episodi, aneddoti e storie da raccontare su questi 39 anni di matrimonio, ma occorrerebbero centinaia di pagine. Luca Calamai ci è riuscito egregiamente con “Antognoni – 10 modi per dirti ti amo”. Il libro ripercorre la vita del numero 10 dall'infanzia ad oggi: ne consigliamo la lettura a chi si è permesso di gettare fango sulla sua figura.
L'attuale Dirigenza Viola è liberissima di non chiamare la “Luce” a far parte dello staff Viola, visti gli atteggiamenti avuti in più occasioni, la figura dell'umbro potrebbe fare ombra ed in certe circostanze, conoscendo il personaggio, creerebbe ulteriori attriti fra la Società ed i tifosi, perché parlerebbe in modo schietto, senza frasi sibilline o giri di parole e non accetterebbe mai di raccontar novelle per mascherare o giustificare scelte palesemente sbagliate, ma, altresì, eviti di parlare di lui a vanvera e con pressappochismo.
Era una domenica sera del 1986, la Fiorentina rientrava al Franchi da una trasferta: vidi Antognoni scendere dal pullman ed entrare dentro il Bar Marisa, i presenti salutano, lui risponde e si dirige verso il telefono, prende il gettone, chiama casa e dice “Siamo tornati, fra venti minuti arrivo, ciao”. Avevo quattordici anni e la mia proverbiale timidezza mi impedì di chiedergli un autografo, seppur fosse una cosa che per me avrebbe avuto un'importanza incommensurabile. Corsi a casa, varcai l'uscio e trionfante dissi alla mia famiglia: “Ho visto Antognoni, ho visto Antognoni”. Quella notte non chiusi occhio.
Donato Mongatti
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