La camorra del terzo millennio ha oltre cinque secoli di storia criminale napoletana alle spalle. Le origini risalgono all’inizio del Quattrocento, in Spagna, dove esisteva una società segreta composta di briganti, perfettamente organizzata, avente per oggetto la direzione e l’esecuzione di ogni specie di delitto. Dalla penisola iberica a Napoli, vicereame spagnolo, il passaggio fu breve, grazie all’occupazione militare e alle truppe acquartierate in una zona che avrebbe poi preso il nome, tramandato nei tempi, di Quartieri Spagnoli.
La stessa etimologia del termine “camorra”, del resto, ha derivazione spagnola. In castigliano camorra significa rissa o litigio e camorrista è un litigioso.
Il sistema era l’unico punto di riferimento solido per una popolazione afflitta da povertà e disoccupazione, ancor più da quando Napoli aveva cessato di essere capitale di un regno, quello delle Due Sicilie, con più di nove milioni di abitanti.
Alla fine dell’Ottocento la figura tradizionale del camorrista tutta violenza bruta si va trasformando, il potere allegale diviene sempre più attento ad intrecciare rapporti con chi è di turno a sedere nei Palazzi. Inizia quel sodalizio tra politica e camorra giunto fino ai giorni nostri. Con l’avvento del fascismo si diffuse l’idea che la camorra avesse terminato il lungo percorso delinquenziale, tuttavia si trattava solo di quiete apparente.
Dal 1946 al 1976, ci fu una metamorfosi profonda nello scenario criminale napoletano. I clan iniziarono a prediligere vincoli uniti dal nesso affaristico a quelli di matrice familiare, erano i comuni interessi a unire i gruppi. I contrasti e i conti in sospeso non venendo risolti all’interno di un nucleo unito da legami di sangue, furono regolati con agguati e omicidi. Armi sofisticate, killer professionisti crearono le bocche di fuoco che resero possibili gli incredibili spargimenti di sangue delle guerre tra clan degli anni settanta e ottanta. Tutto avrà inizio con l’arrivo di colui che resterà l’unico vero camorrista del Novecento, erede della tradizione della Bella Società Riformata, cui, per sua diretta ammissione, si era ispirato: Raffaelle Cutolo.
Don Raffaele nella sua struttura criminale, la Nuova Camorra Organizzata, era chiamato il vangelo.
Riti e iniziazioni vennero adattate al suo modello di associazione delinquenziale, una video cassetta con le formule dell’affiliazione divenne il testo sacro del boss-guru che tirava le fila dalla sua cella, in cui è rinchiuso da ben 56 anni.
La camorra nei piani del super boss doveva essere in grado di fornire sbocchi alla disoccupazione meridionale. Sottoproletari, piccoli delinquenti, sbandati vennero attratti dal verbo di Cutolo, disperati cui il vangelo forniva un’identità e una prospettiva di guadagno.
Cutolo scatenò una guerra per il dominio criminale della Campania senza precedenti. Dal 1981 al 1988, si contarono 1620 morti ammazzati in provincia di Napoli.
Una mattanza che non poteva più essere ignorata dalla Commissione parlamentare antimafia: nel 1982, finalmente, i commissari considerarono la Camorra organizzazione mafiosa a sé stante.
L’impero del boss Cutolo iniziò a sgretolarsi, grazie anche all’enorme difficoltà di gestire l’organizzazione in regime di 41 bis, il carcere duro. L’alto numero di pentiti e di “traditori” passati ai clan rivali, andò a vantaggio dei Giuliano, da mezzo secolo padroni del quartiere di Forcella.
Una famiglia-clan, dove i rituali di camorra si confondono con i vincoli di sangue che rendono difficili i tradimenti.
Uno scenario che ha racchiuso nel tempo tutte le chiavi di lettura per comprendere il fenomeno camorristico napoletano: cultura popolare, valori consumistici, confuso rispetto per la tradizione napoletana, legami familiari, dominio su un quartiere.
Dal 2000 lo scenario muta, di nuovo, radicalmente. La frantumazione dei clan storici e la permanenza in carcere dei vecchi capi iniziano ad alimentare le ambizioni di paranze - termine che nel gergo della camorra indica un gruppo criminale omogeneo - di giovani e giovanissimi. Cento euro la tariffa per ammazzare o ferire qualcuno a colpi di pistola, promessa agli adolescenti disponibili e vogliosi di entrare nel sistema.
I bimbi criminali resi ancor più pericolosi dalla mancanza di una strategia che guidi il loro agire. Scenari in continua evoluzione, schegge che si confondono, non si tratta di mafia, né di organizzazioni criminali a struttura piramidale ma di gruppi di ventenni dalla pistola facile con scarsi valori e una cultura pieni di riferimenti da fiction. E il cd. “effetto Gomorra”. Fiction seriali, che originano dal best seller di Roberto Saviano, appassionano il pubblico e trasformano i criminali in eroi. Gli attori protagonisti sono divenuti, per un perverso fenomeno di inversione dei ruoli, sempre più gli ispiratori delle gesta dei baby-camorristi 2.0.
Paolo Sebastiani, avvocato (nessuno è perfetto!), accanito bibliofilo, ama la Storia che approfondisce con Winston, il suo bulldog inglese. Collabora con il quotidiano La Verità.
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