'Fonda un partito o resta?' Pd col fiato sospeso in attesa della Leopolda, come ai tempi d'oro del renzismo. Le 'mine' piazzate dai fedelissimi dell'ex premier agitano le acque in casa dem. Finora Matteo Renzi e il suo Giglio magico avevano sempre spento sul nascere i rumors sull'addio, ma stavolta no, li hanno alimentati.
Segno che qualcosa si muove. Guai, però, a parlare di scissione, semmai sarebbe una "separazione consensuale", come la definiscono sia il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato, che il neo sottosegretario agli Esteri, Ivan Scalfarotto. L'accelerazione delle ultime ore, comunque, non è come un fulmine a ciel sereno, l'insofferenza di Maria Elena Boschi aveva fatto capire a chiare lettere la disapprovazione della sua area per un eventuale rientro di Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema. Il cambio di passo di Luigi Di Maio su un possibile accordo 'civico' con i dem ha semplicemente attivato il countdown.Così è partita la controffensiva di Rosato, al quale appare "naturale fare una riflessione" sulla permanenza al Nazareno, "sia per motivi politici che personali. Politici perché dopo l'accordo con i 5 Stelle è cambiato tutto. Personali perché Renzi non può essere sempre accusato di tutto e con lui chi ha lavorato per tirare fuori il Paese dalla crisi". Secondo quanto trapela dalla Toscana, il leader non sarebbe ancora convintissimo del passo, perché il 20 ottobre, data in cui si chiude la kermesse fiorentina, è troppo ravvicinata all'inizio del governo giallorosso, ma soprattutto alle elezioni regionali in Umbria, primo vero test dell'intesa Pd-M5S. Lo strappo di Renzi sarebbe utilizzato come capro espiatorio per un'eventuale sconfitta, ragionano a Pontassieve.Il senatore semplice di Firenze, intanto, riflette e come suo costume lancia sassi osservando le reazioni: "Le chiacchiere stanno a zero, di politica nazionale parleremo alla Leopolda e sarò chiaro come mai in passato". I suoi, però, scalpitano. "Si possono fare cose bellissime insieme, ma non è necessario abitare nella stessa casa, come ha sottolineato anche Goffredo Bettini", dice Scalfarotto. La maggioranza del partito, avvertito l'allarme, però, corre ai ripari. Il segretario, Nicola Zingaretti, usa carota e bastone. Prima spiega di augurarsi che non accada nulla "perché un Pd unito serve a democrazia e alla stabilità del governo", poi avverte: "Dividersi è un gravissimo errore che l'Italia non capirebbe e chiunque si prenderà le sue responsabilità".Dario Franceschini, invece, prova a ricucire rivolgendo un appello direttamente a Renzi: "Il Pd è casa tua e nostra, il popolo della Leopolda è parte del grande popolo del Pd, non separiamoli". Il ministro dei Beni culturali riconosce all'ex premier i galloni del leader (anche se incorona Nicola Zingaretti come segretario "più generoso e inclusivo"), ma lo avverte: "Come si fa a pensare a una 'separazione consensuale' dopo che spacchi il partito? È ridicolo, io non ci credo". Come Enrico Letta e Andrea Orlando, che ad 'Huffington' dichiara: "Non esistono separazioni consensuale. In queste cose si sa come si inizia ma non come va a finire". Quando si dice, questione di punti di vista. (Agenzia La Presse)
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