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il caso

Licenziato è clandestino, se l'Italia ha bisogno di uomini e lavoro. La storia di Diouf

Immagine articolo - Il sito d'Italia

“Sono un clandestino, ma tutti mi dicono che sono un bravo ragazzo”. Questa è una storia di buona integrazione, di quelle che oggi non sembrano andare di moda. E' una storia che deve far riflettere su quello che è il livello del nostro Paese. E' una storia indegna per uno Stato civile. E' quello che è successo ad un uomo senegalese di 38 anni che chiameremo Diouf e che è diventato clandestino dopo che l'azienda che l'aveva assunto a tempo indeterminato è fallita. Da quel momento ha perso tutti i diritti civili che aveva fino a quel giorno. Che si era conquistato dal 1997, anno in cui è arrivato da Parigi in Italia dopo essere partito da Dakar.

 

Arriva a Firenze dalla Francia, con il regolare permesso di soggiorno trimestrale rilasciato in terra transalpina. Qua si sistema subito con un impiego da pellettiere ed un contratto di apprendistato a tempo determinato. Diouf ha voglia di lavorare e crearsi una vita serena. Presenta le domande in Questura per il permesso di soggiorno. Lo ottiene.

 

Continua a lavorare in alcune fabbriche come magazziniere fino a quando nel 1998 viene assunto a tempo indeterminato da un'azienda di Gaiole in Chianti. Le luci della speranza e di una nuova vita prendono forma. Le emozioni di un uomo che vede la porta del futuro. Uno stipendio, una casa, la tranquillità di una persona normale. Diouf stabilisce rapporti, amicizie, sente di aver raggiunto il suo obiettivo. Ha una vita autonoma. Normale. Regolare. Dopo i rinnovi biennali dei permessi di soggiorno, passano 10 anni e la sua condizione lavorativa gli consente di presentare la domanda in Questura per ottenere la carta di soggiorno a tempo indeterminato. Il sogno di ogni persona che lascia il proprio Paese in cerca di speranza e spesso trova davanti a sé un muro di pregiudizi. Diouf sta compiendo l'ultimo passo decisivo per ottenere quei documenti essenziali per la sua vita.

 

Durante quei mesi di attesa, circa sei, però l'azienda in cui Diouf lavorava non riesce a risollevarsi da alcuni problemi economici ed è costretto a chiudere dichiarando il fallimento. Domanda respinta: non ha diritto ad avere quella carta di soggiorno. E' senza contratto. E' clandestino, può soltanto fare ricorso contro quella decisione. Respinto. Respinto, nessuna carta di soggiorno per Diouf. E' la dura legge italiana. Non conta niente, se hai lavorato per anni e anni e se ora, oltre a dover trovare il modo di arrivare a fine mese, sei pure diventato clandestino.

 

Lui, fisico da atleta, bella presenza, elegante, gentile, attento ai modi e all'educazione, non è certo tipo da tirarsi indietro. “E vabbè, non capivo perchè ma dovevo lavorare per campare quindi mi sono rimboccato le maniche e mi sono messo a cercare lavoro”. E l'ha trovato. Contratti a tre mesi, di quelli che hanno ammazzato il mondo del lavoro. Ma che gli hanno consentito di andare avanti. Di avere uno stipendio. Dalla Coop, a Fendi, per poi passare al Quadrifoglio, ai Servizi ingombranti. Qua ha un problema fisico, un'ernia discale che non gli consente di lavorare. Sei mesi di riposo forzato in cui lui rinuncia al rinnovo del contratto con l'azienda. “I miei colleghi mi dicevano, 'lavora un giorno e ti metti in malattia'. Ma io non potevo fare questo torto all'azienda”. “Io in quei lavori non vedevo ditte o fabbriche vedevo la speranza, l'Italia, Firenze che è la mia seconda casa”.

 

Ma da quel momento lavorare diventa un problema. “Ho avuto problemi a camminare per sei mesi e non potevo tornare nei magazzini così mi sono trovato senza lavoro”. E senza la possibilità di chiedere un permesso di soggiorno. Diouf è un clandestino. Non lo è mai stato fino a che la sua azienda non è fallita è l'ha licenziato. La sua fedina penale è immacolata. Nessun precedente. Ha versato circa 16 anni di contributi all'Inps. Si è integrato. Ha scelto la strada del lavoro, della dedizione, della serietà. E' normale, direte. Ma non è scontato visto che la realtà che ci circonda riesce ad ammaliare e a far scegliere percorsi diversi a chi arriva nel nostro Paese. Diouf invece ha scelto di lavorare. Oggi però non ha più i soldi per pagarsi un affitto. Per avere una vita autonoma. Vive in uno stabile occupato. Come tanti italiani, direte, ed è lecito pensarlo. Anche lui come tanti altri uomini e donne non dovrebbe subire ingiustizie. E invece accade il contrario.

 

Ma perchè Diouf solo perchè un'azienda fallisce diventa clandestino? Cos'è il clandestino? Diouf? Allora l'integrazione cos'è? Non ci rende merito questa storia. Anzi. Ci squalifica. Civilmente, moralmente, umanamente. Gli italiani non sono così. Tantomeno i fiorentini. Persone generose con l'animo nobile di chi sa chi merita e chi no. E la storia di Diouf fino a quel licenziamento è la fotografia dell'integrazione. Della serietà. Di quello che un uomo può dare a uno Stato. Lui ha versato molti più contributi di me che scrivo all'Inps. Allora se in Italia non ci può stare, versiamogli quello che gli spetterebbe all'età della pensione e lui, Diouf, andrà via.

 

Ma perchè dobbiamo mandare via un uomo che ha scelto di venire a fare la sua vita in Italia lavorando, sacrificandosi, lasciando a migliaia di chilometri i suoi affetti e i suoi riferimenti? Un uomo che ha riposto tutto nel nostro Paese. Che ha dato tanto, che ha versato quei contributi. Che ha scelto di adeguarsi alla nostra vita, ai nostri costumi, alle nostre regole. Un uomo che ha trovato nell'Italia la speranza e oggi l'Italia non lo vuole più. Perchè siamo così ingiusti? Perchè un uomo può perdere i suoi diritti? Se ha già perso il diritto al lavoro? E' solo questione di buonsenso. Perchè se Diouf non può stare in Italia, da oggi ci sentiamo tutti un po' più clandestini.

 

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