Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dell'ADINA (Associazione per la Difesa dei Diritti della Persone non Autosufficienti) dove si denuncia il progressivo peggioramento dei servizi offerti agli assistiti nelle strutture per le quali i familiari sono costretti a spendere circa 3500€ al mese.
Cosa succede nelle RSA?
Mentre le famiglie sono tartassate dalle ingiuste richieste economiche, ormai 3.500 euro al
mese sono la norma, arrivano alla nostra Associazione lettere di familiari che lamentano il
progressivo peggioramento del servizio.
I familiari denunciano talvolta fatti specifici:
la perdita di indumenti e altri oggetti personali ma indispensabili come le protesi dentali, la
mancanza di biancheria come asciugamani, lenzuola, federe, coperte.
Altre volte lamentano la progressiva trascuratezza nell’assistenza: la distribuzione di pasta poco
cotta, la mancanza di caraffe d’acqua sui comodini, la non tempestività nell’accompagnare in
bagno chi ne ha bisogno.
Molti denunciano la palese riduzione di servizi come il portierato o la lavanderia e la scarsa
sorveglianza nelle sale soggiorno (La Chiocciola) o addirittura la presenza di piccioni che
svolazzano nelle camere.
Tutti verificano la continua diminuzione di personale, compresa l’eliminazione del turno
notturno infermieristico anche laddove era presente (Montedomini ne è un esempio, anche se il
servizio è stato poi riattivato soltanto dopo le sentite proteste dei familiari ) e di conseguenza il
peggioramento delle relazioni del personale sia con i pazienti che con i familiari, specialmente
quelli che ci vanno più assiduamente.
I Comitati dei familiari, che in origine funzionavano ed erano presenti in molte strutture, ormai
sono spariti e i gestori si guardano bene dal sollecitare la partecipazione dei nuovi arrivati.
Non è raro sentirsi dire che le cose vanno male perché non ci sono risorse, perché la Società
della salute non paga.
A noi non è dato sapere la verità: quello che è certo è che i familiari pagano eccome, pagano
molto di più di quello che la legge imporrebbe loro come quota sociale (circa 1.500 euro al
mese) e ormai molti pagano anche la quota sanitaria (ulteriori 1.500 euro circa).
Ciò nonostante le condizioni di assistenza dei vecchi non le decidono loro, non le contrattano
con i gestori ma devono subire gli accordi che la Società della Salute ha sottoscritto e sui quali
non esercita alcun controllo.
Fino a quando? Qualcuno può esercitare controllo e raddrizzare questa situazione?
Forse il Consiglio Comunale che approva bilanci e piano della Società della Salute?
Forse il Consiglio Regionale che ha creato le Società della Salute e approva i finanziamenti
sanitari?
Ci sono responsabilità precise alle quali questi organismi non possono sottrarsi, pena la perdita
di credibilità dell’istituzione stessa presso i cittadini.
O siamo inesorabilmente spinti tutti a ricorrere alla Magistratura?
La Presidente - Anna Nocentini
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