Carisma, personalità, spirito d'iniziativa, decisionismo, tenuta del gruppo, abilità nel gestirne l'umore: sono queste le caratteristiche di un capitano. Ma soprattutto a fare un leader è il consenso della squadra. Eppure sembra proprio che questa regola non scritta, sia caduta in disuso tra i banchi della politica. A testimoniarlo le ultime vicende che hanno visto protagonisti i capitani delle due squadre avversarie di Palazzo Vecchio, da troppo tempo impegnati a driblare i malumori di uno spogliatoio sempre più spaccato e a far valere le ragioni della propria fascia di capitano. Si sa non è mai facile gestire un gruppo di giocatori, specie se ce ne sono alcuni giovani, ambizioni, che mal digeriscono l'atteggiamento da 'stelle' mediatiche dei rispettivi leader.
Cominciamo dall'inizio. Due anni fa la partita, chiusa in pareggio ai tempi regolamentari, aveva visto prevalere ai rigori Matteo Renzi con la sua lista civica e il Partito Democratico. Ma la lotta non fu semplice, l'avversario Giovanni Galli, outsider della politica ma veterano del rettangolo verde, non esitò a scendere in campo. D'altra parte, qualcuno racconta, che a convocarlo era stato Lui in persona. Fu il ballottaggio, a cui si giunse per la prima volta a Firenze, a dimostrare di quali numeri disponesse Giovanni Galli sostenuto dal Pdl. Tutto sommato due vittorie personali quindi, con le fasce di capitano indiscutibilmente legate al braccio dei due protagonisti e rinsaldate ancor più dalla simpatia riscossa presso l'elettorato.
Ed eccoci alla partita vera, quella per la città, dove dimostrare il proprio talento, quello vero, nel fare e soprattutto nel comunicare.
L’attaccante Renzi gioca il suo personale campionato alla ricerca del titolo di capocannoniere: si serve della sua squadra per mettere a segno gol importanti per il centrosinistra (piano urbanistico a volumi zero, pedonalizzazioni, interventi per salvare la cultura), ma non disdegna neppure di dialogare con la squadra avversaria. Va ad Arcore, simpatizza con Brunetta. Che abbia già in mente la prossima finale, per la quale si impone un consenso nuovo, 'altro'? I suoi compagni di squadra intanto additano questi come grossolani errori sottoporta compiuti dall’attaccante e passano loro stessi a contrastare il proprio bomber. Interventi decisi vengono rivolti contro Renzi dai vertici nazionali del PD, ai quali il sindaco più amato d’Italia risponde per le rime senza timori reverenziali pur trattandosi dei dirigenti della squadra. Più tardi saranno gli stessi compagni a non trovarsi più a loro agio nello spogliatoio, lamentano di non giocare la stessa partita del loro asso, contrastano molte scelte d’attacco dello stesso, stigmatizzano i continui fuorigioco del campione. Ma la goccia che fa traboccare il vaso giunge qualche giorno fa: la società decide di prendere parte ad uno sciopero e che vi aderirà tutto il club; l’attaccante invece si dissocia, non riconosce la validità dell’iniziativa, tuona addirittura contro il presidente della squadra Bersani, resta al campo di allenamento a preparare la prossima sfida.
Il portiere Galli invece ha perso la prima partita, ciò nonostante resta a difendere la porta del Pdl. Ma è un portiere appunto, lui i gol nella partita per Firenze non li può fare, e nemmeno la sua squadra. Non hanno i numeri per farli, possono solo aspettare che la difesa avversaria si apra e accolga qualche mozione promossa dai tanti centrocampisti del centrodestra. L’impossibilità di segnare logora e rende ancora più ingrato il ruolo del portiere costretto a difendere invano le proprie ragioni politiche. I suoi compagni di squadra vivono la stessa sindrome e forse commettono l’errore di scambiare i gol non fatti con i gol presi. Non vedono in Galli il carisma dell’attaccante Renzi, spesso si dissociano dalle parate scenografiche del portiere e criticano le papere che questi inevitabilmente giunge a commettere quando si vede attaccato non solo dalla squadra avversaria ma a volte anche dai membri del suo partito. Galli entra in contrasto più volte in questi due anni con i piani alti del Pdl, perde per strada vari tifosi, dentro e fuori la società; persino, pare, le simpatie del Presidente. Si rifiuta più volte di lasciarsi inquadrare negli schemi di gioco giungendo a non essere nemmeno mai ufficialmente tesserato del partito. Tuttociò lo spinge un bel venerdì di settembre a rassegnare le dimissioni da portiere del centrodestra fiorentino; con lui lasciano la squadra anche i suoi compagni di reparto, i difensori, che come lui sanno bene cosa vuol dire non poter fare gol.
E intanto il mister elettorato cosa fa? In una politica sempre più personificata è lui che attribuisce le fasce di capitano, sia della squadra vincente che di quella perdente. Studia i comportamenti dentro e fuori dal campo di tutti i giocatori, li analizza giornata dopo giornata: l’atteggiamento messo in campo, lo spirito di squadra, il fair play, sono terreno fertile per ingraziarsi la convocazione e la possibilità di giocare da titolare la prossima partita elettorale. Mister elettorato pare cominciare a rifiutare la logica ingessante dei partiti e si lascia sempre più sedurre dalle 'stelle' mediatiche. A chi assegnerà le nuove fasce di capitano nella prossima partita per governare Firenze nel 2014? Ritroveremo di nuovo in gara l’attaccante e il portiere a contendersi il ruolo di sindaco o qualcuno dei protagonisti in campo verrà 'premierato' nel 2013 a capitano della nazionale?
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