Suscitare interesse per la teologia nei giovani e nei non addetti ai lavori è la sfida di questo libro. In un'epoca in cui ci è chiesto di vivere intensamente tutto, in cui la cura del corpo è diventata culto del corpo e il diritto semplice desiderio ci rendiamo conto che niente di ciò che facciamo può esaurire fino in fondo la nostra voglia di infinito. Questa è la tesi di fondo di "Come la formica. In Ascolto del Simbolo apostolico" (Urbaniana University Press) di padre Armando Genovese, missionario del Sacro Cuore di Gesù e professore ordinario di Patrologia alla Pontificia Università Urbaniana.
Non possiamo fermarci alla sola corporeità, a questo limite invalicabile che è soggetto a vecchiaia, malattia e morte ma passare attraverso di esso per conoscere e poi coltivare il Trascendente. Alla base del discorso dell'autore c'è il Credo, il simbolo apostolico, la professione di fede di ogni cattolico, senza fede non si vive nemmeno come uomini. Questa verità la viviamo nella quotidianità di ogni giorno quando ci affidiamo alle cure o all'aiuto degli altri. Sant'Agostino, padre della Chiesa al quale Genovese dà del tu, ricorda che sulla fede si basano amicizia, amore, relazioni sociali. "Se non devo credere a ciò che non vedo, chi infatti sarà rianimato da un altro, dal momento che in se stesso l'amore è invisibile?". Proprio da queste parole del vescovo di Ippona arriviamo alla centralità del messaggio cristiano: la Risurrezione. Già san Paolo avvertiva: "Come possono dire alcuni tra voi che non c'è risurrezione tra i morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede" (1Cor 15, 12-14). Nella risurrezione, in questo senso di mistero che va oltre la ragione umana, troviamo la risposta al perché della nostra esistenza, diamo concretezza a quella percezione di nostalgia che ci accompagna durante il cammino terreno.
Spesso nella storia si è manifestata la tentazione dualistica di origine platonica di credere il corpo prigione dell'anima e sede delle passioni e non parte integrante dell'essere. Anche la riflessione biblica - ricorda l'autore - è stata influenzata dalla cultura ellenica, nel libro della Sapienza (30 a. C.) leggiamo: "Un corpo corrutibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri" (9,15). In questo testo veterotestamentario c'è comunque una sintesi tra anima e corpo che trova nell'eternità dei giusti la via: "Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura" (2,23). Ancora: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero... ma essi sono nella pace" (3,1-3).
La risurrezione di Gesù - padre Genovese ricorda le testimonianze degli storici del I secolo Giuseppe Flavio e Tacito riguardo dell'esistenza storica di Cristo - è il compimento delle promesse, Dio ridà vita all'intero essere umano, non si accontenta della sola immortalità dell'anima come sosteneva la cultura ellenica ma vince totalmente la morte. "Ogni uomo, - spiega l'autore - quando ritorna a Dio non porta a Dio soltanto un'anima senza corpo, ma tutta la sua esperienza, che è avvenuta nella sua persona, ed in essa ciò che ha compiuto nell'amore è iscritto per sempre". Come ammette lo stesso missionario del Sacro cuore, quando lui parla di teologia ricorda un po' lo sposo che canta la donna amata ma questo essere di parte è solo una risposta forte all'indifferenza dilagante del tempo presente e una provocazione nel lettore di un moto nelle viscere verso quel Qualcosa a cui tutti aneliamo.
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