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antimafia

Relazione Dia, mafie investono in Toscana. Citata inchiesta su Sutera e bar Curtatone

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Immagine articolo - ilsitodiFirenze.it

Toscana terra di conquista per la criminalità organizzata. E' quanto si legge nella nuova relazione semestrale della Dia, la Direzione Investigative Antimafia.

 

"L'analisi della realtà criminale della Toscana non può prescindere da una valutazione sulle condizioni ambientali che potrebbero rappresentare per le organizzazioni mafiose un'attrattiva e un'occasione per tentare d'infiltrarne l'economia legale. Pur non essendo annoverata tra le aree a tradizionale presenza mafiosa, la Toscana costituisce un potenziale territorio di 'espansione' per le mire criminali, ove reinvestire i capitali di provenienza illecita" spiega il documento.

 

"Allo stato attuale, sono in corso le procedure per la gestione di ben 367 immobili confiscati, mentre altri 135 sono già stati destinati. Risultano, inoltre in corso le procedure per la gestione di 50 aziende, mentre due sono state già destinate" prosegue la relazione.

 

"Alberghi, ristoranti, attività immobiliari, commercio all'ingrosso, costruzioni, attività manifatturiere ed edili, terreni agricoli, appartamenti, ville, fabbricati industriali, negozi, sono solo alcune tra le tipologie di beni sottratti alle mafie in Toscana, concentrati, seguendo un ordine quantitativo decrescente, nelle province di Lucca, Arezzo, Pisa, Livorno, Pistoia, Prato, Firenze, Siena, Massa Carrara e Grosseto".

 

In particolare, "a Firenze e nel resto della Toscana, i sodalizi calabresi hanno consolidato la tendenza a diversificare gli investimenti, dimostrando attitudini imprenditoriali in diversi settori, oltre alla capacità di adattamento ai variegati contesti socio-economici, anche mediante condotte collusive" proseguono gli agenti dell'antimafia.

 

"È verosimile ritenere che elementi contigui alle famiglie 'ndranghetiste possano facilmente riuscire ad inserirsi in società commerciali e finanziarie, grazie alla disponibilità di consistenti capitali illeciti - sostiene l'analisi della Dia - La riprova di questa tendenza è data sia dall'attività di aggressione ai patrimoni svolta nel semestre dalla Dia, sia dai provvedimenti interdittivi antimafia adottati dalle Prefetture toscane". Nel mese di luglio, beni per un valore di 2 milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia ad un imprenditore calabrese, attivo da molti anni a Firenze nel settore della ristorazione, legato alle cosche reggine.

 

Su proposta del direttore delle Dia, inoltre, nel mese di dicembre è stato sequestrato a Prato e nella provincia di Reggio Emilia, un patrimonio del valore di oltre un milione di euro nella disponibilità di un imprenditore di origini crotonesi, noto esponente della 'ndrangheta in Emilia Romagna.

 

La mafia siciliana e i sodalizi tra famiglie sono al centro della relazione dell'antimafia. Sotto questo aspetto, annota la Dia, "i sodalizi siciliani tendono ad implementare i propri canali relazionali, avvalendosi della collaborazione di un'area grigia, fatta di imprenditori e professionisti che, per varie motivazioni, si lasciano avvicinare o addirittura si rivolgono alla criminalità organizzata per rafforzare i propri affari".

 

"Già nel semestre precedente, nel mese di marzo 2018, due fratelli palermitani (Giovanni e Renato Sutera, nda), effettivi proprietari di una nota pasticceria nel centro storico di Firenze (il caffè Curtatone, nda), gestita attraverso vari prestanome, erano stati arrestati per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La fittizia intestazione della titolarità dell'attività, sottoposta a sequestro preventivo il successivo 12 giugno 2018, aveva lo scopo di schermare la reale proprietà ed eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione, essendo i due fratelli pluripregiudicati per gravi reati"

 

L'interesse dei personaggi in vario modo riconducibili ai sodalizi mafiosi siciliani nell'area toscana è stato diretto, anche all'acquisizione, nel tempo, di fondi e tenute agricole di valore, sempre per reinvestire e riciclare capitali illeciti.

 

Per quanto riguarda le organizzazioni criminali straniere presenti sul territorio, "in Toscana risultano dedite, per lo più, al traffico di sostanze stupefacenti, al commercio di merci contraffatte e allo sfruttamento della prostituzione. In alcuni casi, la loro azione si sviluppa con le modalità tipiche delle organizzazioni mafiose" spiega la relazione.

 

"La criminalità cinese continua a rappresentare il fenomeno più pervasivo sia per la particolare compattezza della comunità, che per la capacità di penetrare il tessuto economico regionale, specialmente nella filiera del tessile-abbigliamento, che da Prato si estende nelle due province limitrofe di Firenze (con particolare riferimento al comune di Sesto Fiorentino e all'area produttiva dell'Osmannoro) e Pistoia" prosegue la Dia. 

 

"La proliferazione, in particolare, di laboratori cinesi per il confezionamento di capi d'abbigliamento ha avutoinevitabili ricadute sull'economia locale, che ha patito un'azione concorrenziale falsata dal sistematico ricorso, da parte di queste aziende straniere, al lavoro nero, alla pratica della contraffazione dei marchi, alle violazioni del Made in Italy ed all'utilizzo di manodopera clandestina".

 

"Per lo smercio di droga si conferma l'operatività di tunisini e, in alcune aree, di nigeriani e marocchini, impegnati soprattutto nello spaccio al minuto. Indagini recenti hanno, peraltro, evidenziato proficue forme di collaborazione multietnica tese proprio ad organizzare traffici di droga" spiega l'antimafia nel documento.

 

"Significativa al riguardo l'operazione ''Sottobosco'' del mese di luglio, grazie alla quale è stata disarticolata un'associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, capeggiata da un cittadino marocchino che operava in collaborazione con cittadini albanesi, i quali, a loro volta, curavano l'approvvigionamento di ingenti quantitativi di droga dall'Olanda, servendosi di corrieri. Le sostanze stupefacenti venivano poi immesse sui mercati toscani ed emiliano-romagnoli".

 

Inoltre "la criminalità organizzata albanese continua a ricavare importanti proventi illeciti anche dallo sfruttamento della prostituzione, attuata in forma organizzata, talvolta in collaborazione con organizzazioni romene o nigeriane, spesso riducendo le donne in condizione di schiavitù".

 

 

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