Il disastro della Costa Concordia, la grande balena di ferro arenatasi a poche centinaia di metri dall'Isola del Giglio, ha richiamato alla mente la tragedia ben peggiore del transatlantico Titanic. La diffenza anche nei momenti di sventura, di grande dolore, la fanno gli uomini.
L'onore, l'etica cavalleresca, il valore di chi rappresenta l'autorità, è la distanza tra le due catastrofi. Si narra che prima del viaggio Edward John Smith avesse detto: "Questa nave non l'affonda neanche Dio", una delle poche volte che il vecchio Padreterno si vendicò subito. Ma il capitano del Titanic, non salì su nessuna scialuppa di salvataggio, da vero uomo di mare aveva messo in conto anche la morte. Così nel 1912 affonda con la sua nave tra le acque gelide dell'oceano Atlantico.
A cent'anni di distanza invece, in una situazione di altrettanto pericolo, la storia si ripete. Questa volta però il comadante della Costa Concordia, squarciata da uno scoglio per futili motivi, abbandona, fugge le sue responsabilità. Francesco Schettino, prima nega la gravità della situazione a bordo - come si può ascoltare dalla telefonata con l'ufficiale della Guardia Costiera di Livorno Gregorio de Falco - poi, mentre sulla sua nave ci sono ancora centinaia di passeggeri, si dà alla fuga. E infine, quando l'energico De Falco gli ordina "Salga sulla prua della nave e mi dica cosa si può fare, quante persone ci sono e che bisogno hanno.", Schettino, dapprima si lamenta del buio, poi farfuglia qualcosa e acconsente, ma la verità è che non risalirà più sulla sua nave, che a poco a poco diventa relitto.
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