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Lutto nel giornalismo

È scomparso Alessandro Rialti, il ricordo in un'intervista del 2014

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Immagine articolo - ilsitodiFirenze.it

È scomparso all'età di 69 anni Alessandro Rialti, storica firma del Corriere dello Sport che per decenni ha raccontato la Fiorentina.

Ai familiari, colleghi stretti ed amici le condoglianze di tutta la redazione de Il Sito di Firenze.

 

Per ricordarlo pubblichiamo un'intervista ad Alessandro Rialti del novembre 2014 mai uscita, poiché fu la prima per un progetto che doveva nascere ma che poi non si sviluppò. Il nostro Donato Mongatti fu incaricato da Bernardo Brovarone di iniziare la serie di incontri con le “penne” fiorentine proprio dal “decano” dei giornalisti. Ne uscì un racconto della carriera di Rialti, dagli esordi negli anni '70 con Lotta Continua e Controradio, fino all'arrivo al Corriere dello Sport passando da La Repubblica. Le “Fiorentine” e i calciatori più amati, gli aneddoti e i punti di vista di uno dei giornalisti più amati dai tifosi gigliati.

 

 

 

All'epoca dell'intervista la Fiorentina era alla terza stagione con Montella, ma in autunno, dopo due ottime annate, la squadra non rendeva. Alla fine del campionato, grazie a una risalita a suon di successi, i viola riuscirono comunque a qualificarsi per l'Europa League (4° posto finale) e raggiunsero le semifinali di Coppa Italia ed Europa League.

 

 

Di seguito la lunga intervista del 2014

 

 

Ci racconta i suoi esordi da giornalista e l'arrivo al Corriere dello Sport?

 

“Ho cominciato a scrivere nel 1970 per Lotta Continua (quotidiano organo ufficiale dell'omonimo movimento della sinistra extraparlamentale, ndr). In quegli anni aderii al movimento e cominciai a collaborare col giornale. I primi articoli riguardarono il caso di Pietro Valpreda (anarchico accusato di essere coinvolto nella strage di Piazza Fontana e poi assolto, ndr). A metà degli anni '70 uscii da Lotta Continua, ero intransigente sulla questione della violenza, delle droghe, dell'eroina, e con Claudio Popovic furono gli anni di Controradio, mentre la mia terza esperienza professionale, sempre nello stesso periodo, fu quando iniziai a collaborare a Il Nuovo. Là cominciai come cronista, ma in seguito nacque l'amicizia con Massimo Sandrelli ed iniziai a scrivere di sport. Nel 1976 iniziò la mia collaborazione col Corriere dello Sport. Al Corriere esordii seguendo la pallavolo. La prima partita di volley che seguii fu la Ruini, società di Firenze, che giocava contro una squadra russa; allora i pezzi si dettavano per telefono allo stenografo a Roma e ricordo che dovetti usare decine di gettoni perché fu necessario fare lo spelling per ogni giocatore russo. In quell'occasione mi dissi che sarebbe stata la mia ultima volta da giornalista, invece ho continuato e nel 1976-77 iniziai a lavorare nella redazione del Corriere dove arrivarono Frati e Polverosi: a parte una breve interruzione sono 38 anni di Corriere”.

 

La passione per la Fiorentina?

 

“Fin da piccolissimo mio babbo mi portava allo stadio. Mi montava sulla canna della bicicletta Olmo ed andavamo a vedere la Fiorentina. Poi iniziai ad andare allo stadio da solo. Nell'anno del secondo scudetto seguii i viola da tifoso in tutte le trasferte e tutte le partite in casa tranne due. Ad occuparmi giornalisticamente della Fiorentina ho cominciato con Sandrelli a Il Nuovo”.

 

La Fiorentina sul Corriere?

 

“Partii dalla Rondinella e poi lavorai come inviato per le squadre toscane di serie C e D. La Fiorentina iniziai a seguirla dal 1977”.

 

In quasi 40 anni di lavoro dietro ai colori viola, qual è stata la stagione più bella da raccontare?

 

“La stagione 1981/82, quella del secondo posto (scudetto sfumato all'ultima giornata per un solo punto, ndr). A quell'epoca c'era un rapporto bellissimo tra Società, squadra e giornalisti. Esattamente l'opposto di quello che c'è oggi. Allora tutti i giorni con i colleghi andavamo negli spogliatoi. Stavamo insieme ai giocatori e l'allenatore De Sisti e potevamo intervistare chi volevamo. Gli anni dei Pontello sono stati quelli che ci hanno coinvolto di più”.

 

Il rapporto con Antognoni?

 

Per la mia generazione il rapporto con Giancarlo Antognoni è stata una cosa straordinaria, Giancarlo era l'esatto opposto dei calciatori di oggi. Ricordo che ero entrato da pochissimo al Corriere dello Sport, Tosatti mi chiamò per andare ad intervistarlo, perché il giorno successivo sarebbe stato convocato in Nazionale. Arrivai di corsa al campo Militare, erano le 17 dovevo fare in fretta. Giancarlo stava facendo stretching con i compagni, mi fece entrare e facemmo l'intervista in mezzo al campo. Giancarlo, però, mi ha dato anche una delle più grandi fregature della mia carriera (ride, ndr)...”.

 

Cioè?

“Seppi che doveva andare a giocare nel Losanna (squadra dove chiuse la carriera, ndr). Andai a chiedergliene conto, ma mi disse che non era vero. La sera stessa anche Claudio Gentile, giocatore della Fiorentina col quale Antognoni aveva un forte legame, mi smentì il possibile trasferimento alla squadra svizzera. Due giorni dopo ero al mare a Follonica e mi arrivò un telegramma del Corriere dove si complimentavano per il buco straordinario della notizia: Antognoni era partito per Losanna. Chiedeteglielo a Giancarlo, sono convinto che ci ride ancora per quell'episodio...”.

 

Oggi ci sono tantissimi giornalisti, impossibile avere rapporti del genere?

 

“Mi viene da ridere a pensare quello che succede oggi: prima delle partite di Europa League si possono seguire gli allenamenti per 15 minuti, i giocatori fanno torello, nessuno parla e dopo un quarto d'ora ci accompagnano fuori. Eravamo meno prima, ma c'era una grande disponibilità da parte dei giocatori e, da parte nostra, una grande attenzione a non essere eccessivamente invadenti. Sapevamo di avere un grande privilegio e con un accesso alle fonti così diretto il bravo giornalista aveva la possibilità di mettersi in luce. Oggi, senza l'accesso alla fonte è praticamente impossibile farsi notare. Allora il rapporto personale del giornalista con i giocatori e l'allenatore era basato sul rispetto, ci si fidava e così potevamo raccogliere la confidenza di decine e decine di giocatori”.

 

Grazie a questo modo di lavorare nacque anche il rapporto con Roberto Baggio...

 

“Sì, un giorno Roberto mi chiamò, era agitato. Mi disse di andare a casa sua. Quando arrivai immaginavo che dovesse parlarmi di qualcosa che riguardava la Fiorentina, invece mi annunciò che sua moglie era incinta. Antognoni fu il nostro fratello, Roberto un fratellino. Arrivò a Firenze da grandissima promessa. Mi parlò di lui Niccolini, uno dei capi ultrà della Fiorentina che oggi lavora col settore giovanile, dicendomi che andava assolutamente preso. Con Baggio nacque un'amicizia fortissima, uscivamo insieme o ci vedevamo a casa sua. A volte scambiavano la mia macchina per la sua e mi trovavo il tergicristallo con tutti i messaggini delle tifose. Ne ricordo uno dove c'era scritto Sei la mia Nutella”.

 

Poi arrivò la cessione alla Juventus...

 

“Fu un dolore straordinario. Firenze non ha vinto mai niente, ma ha avuto i più grandi giocatori del calcio italiano. È stata una specie di ricompensa divina dal dio del pallone: Baggio, Antognoni, grandissimi portieri, Passarella, Edmundo, Batistuta, Rui Costa e tanti altri. È stato un omaggio alla bellezza di Firenze: tu non vincerai mai niente, ma avrai i giocatori più eleganti e più belli. Baggio è stato uno di questi. La Fiorentina rinnovò il contratto a Baggio prima del passaggio alla Juventus, era il periodo in cui facevo il corrispondente per La Repubblica. Per sapere dove andava a parlare per rinnovare il contratto mi nascosi nel portabagagli di Nardino Previdi (DS della Fiorentina di allora, ndr), se un giornalista facesse una cosa del genere oggi, come minimo, si prenderebbe una denuncia...Previdi andò a firmare il rinnovo con Baggio a Certosa e poi arrivò la cessione”.

 

Furono giorni difficili per Firenze...

 

“Fu un dramma. Noi dovemmo iniziare ad occuparci anche di cronaca nera. A Firenze successe di tutto e quei giorni mi riportarono agli anni da dove arrivavo, alla lotta politica della fine degli anni '60. Fu come una giovinezza violata, dopo ci sentimmo tutti più vecchi e forse un po' di amore nei confronti del calcio e della stessa Fiorentina vennero meno. Fu una piccola rivoluzione”.

 

Ed oggi? Giocatori “simbolo” come quelli di cui ha scritto?

 

“Credo che l'ultimo sia stato Batistuta. Quando decise di lasciare Firenze convocò i tifosi al Viola Club Vieusseux annunciandogli che voleva provare a vincere e che per questo avrebbe lasciato la Fiorentina di Vittorio Cecchi Gori. Fece un gesto inconcepibile oggigiorno. Quello fu il secondo periodo di grande intensità. Avevamo Trapattoni allenatore ed una squadra molto forte, pensammo di poter arrivare a vincere lo scudetto. Con l'addio di Batistuta si ruppe il meccanismo ed in seguito arrivò la mazzata definitiva del fallimento. La tristezza ed il dolore che ne derivarono, credo che ci abbiano riportato il nostro Stand by me. Da lì in poi la passione per la Fiorentina mi è rimasta, ma da decano amo tantissimo le mie Fiorentine, quella di oggi mi sembra più la Fiorentina dei Della Valle”.

 

Cosa ha di diverso la Fiorentina dei Della Valle rispetto alle precedenti gestioni?

 

“Quella di Vittorio Cecchi Gori è stata l'ultima Fiorentina popolare. Vittorio ha avuto tanti limiti ed ha fatto innumerevoli errori, ma era un passionale, ha voluto così bene alla Fiorentina che alla fine gli ha fatto male. Ricordo gli allenamenti ai campini con migliaia di persone, c'era Trapattoni come allenatore, ma non c'era bisogno di fare pretattica. Era un altro mondo quello. Vittorio Cecchi Gori, con i suoi immensi difetti, aveva un'anima popolare. Andrea Della Valle avrebbe ancora questo tipo di impatto con la gente. Qualcuno lo vede come la debolezza del gruppo, io lo vedo come la forza e la qualità che ha questa società. Con ADV sarebbe possibile un rilancio della Fiorentina ad alto livello.

Sono dell'opinione che la forza della Fiorentina sia sempre stata la gente e la comunicazione popolare e massiccia sarebbe l'elemento di difesa e di aiuto della squadra. Concedendo in continuazione i giocatori a tutti i media, la presenza assidua degli stessi comunicherebbe la realtà e la linea della squadra. A Teleregione Macilletti aveva come ospiti fissi Dunga e Baggio: comunicare in modo massiccio e popolare con la gente dà una forza straordinaria. Oggi se Montella schiera una formazione diversa da quella che appare sui giornali, la reazione della gente è che l'undici sbagliato sia quello dell'allenatore, non della stampa. Con una comunicazione assidua ciò non succederebbe e le scelte del tecnico sarebbero comprese dai tifosi”.

 

È la peggiore stagione di Montella-Pradè-Macia, cosa è successo?

 

“Il mercato degli ultimi due anni non è stato così ispirato come il primo anno. L'anno scorso, a parte Gomez, tutti gli altri se ne sono andati e quest'anno temo che sia lo stesso. Marin ancora non è giudicabile, penso che lui possa restare, un altro potrebbe essere Richards, ma non hanno giocato e comunque non sono di proprietà della Fiorentina. Adesso la Società deve sfoltire la rosa, ma non sarà facile, ci sono problemi per i rinnovi di alcuni contratti, c'è un monte ingaggi di circa 62 milioni di euro e a gennaio sarà necessario ricapitalizzare per circa 30 milioni. È chiaro che anche dal punto di vista economico c'è un depauperamento. Nastasic, Behrami, Jovetic, Liajic, Cerci, Babacar e Benardeschi sono degli assegni circolari lasciati da Corvino, finiti questi, tolto Cuadrado, non so quanti soldi ci siano ancora esigibili. Il valore complessivo della Fiorentina è cresciuto dal punto di vista dell'immagine, ma come patrimonio giocatori ho l'impressione che sia diminuito”.

 

Però il valore della rosa è superiore all'attuale posizione in classifica...come se ne può uscire?

 

“Sono sorpreso infatti e non ho risposte certe. Mi domando cosa sia successo a Borja Valero, non è più il campione che abbiamo visto in passato, Cuadrado è meno esplosivo di qualche tempo fa, Gomez è un giocatore da scoprire e poi c'è Rossi, il nostro Baggio, che ha tutti i problemi fisici che sappiamo. Credo, inoltre, che in questa squadra ci siano problemi di sovrabbondanza e di una certa confusione complessiva che ha contagiato un po' tutti, a partire dalla Società e dall'allenatore. Probabilmente ha ragione Montella: quando questa squadra era allegra e divertente rendeva di più. Venuto meno questo aspetto, forse sono tornati fuori i limiti e che sono gli stessi del calcio italiano”.

 

Possibile nuova rivoluzione a fine stagione?

 

“Dipenderà dai risultati. Questa è una squadra che non vale la posizione in classifica che ha. Nel momento in cui Gomez e Marin staranno bene e le squadra gli darà una mano, si potrebbe tornare competitivi ed onorare il Campionato arrivando tra la quarta e la sesta posizione e fare bene nelle coppe, ma se ciò non accadesse significherebbe che qualcosa si è rotto e, probabilmente, si arriverebbe alla terza rivoluzione, ad un cambio drastico sia sulla panchina sia dei direttori sportivi”.

 

A gennaio c'è l'obbligo di sfoltire la rosa, ma quale ruolo dovrebbe avere la priorità nel caso si decidesse di operare anche in entrata?

 

“Se Marin e Gomez saranno in forma prenderei un centrocampista, un giocatore che possa coprire i ruoli di Pizarro e Borja Valero, se invece Gomez e Marin non rendessero al meglio delle loro capacità, prenderei una seconda punta. A gennaio ci sono alte possibilità di prendere giocatori sbagliati, quindi farei un'operazione che non costringa la Società ad impegnarsi economicamente in modo esagerato. Prenderei un giocatore in prestito, visti i tanti esuberi nelle rose. Giovinco, per il tipo di gioco di Montella, potrebbe essere il giocatore in grado di dare una mano alla Fiorentina”.

 

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