Circa 100.000 anni fa, l'evoluzione umana ha raggiunto un misterioso 'collo di bottiglia': i nostri antenati si ridussero a 5-10.000 individui, stanziati in Africa, a causa di malattie infettive. Gli esseri umani moderni sarebbero emersi da questa popolazione, crescendo esponenzialmente e sviluppando nuove caratteristiche genetiche. Una ricerca pubblicata sull'ultimo numero della rivista ''Pnas'' avanza una nuova ipotesi legata alla reazione di un gruppo ristretto della popolazione umana alle malattie infettive. Autori dello studio, un team internazionale di ricercatori, coordinato dalla Scuola di Medicina dell'Universita' della California, di cui fa parte il gruppo del Dipartimento di Biologia evoluzionistica dell'Universita' di Firenze guidato da David Caramelli, assieme ai ricercatori dell'Istituto di Tecnologie Biomediche del Cnr di Milano, guidati Gianluca De Bellis, e a Laura Longo, ora responsabile scientifico dei Musei Comunali di Firenze. Nel loro studio, gli scienziati suggeriscono che l'inattivazione di due specifici geni legati al sistema immunitario puo' aver favorito quegli antenati dei moderni esseri umani dotati di una migliore protezione rispetto ad alcuni ceppi batterici patogeni, come Escherichia coli K1 e lo Streptococco di gruppo B, le principali cause di sepsi e meningite nel periodo prenatale e nei neonati. I ricercatori hanno scoperto due geni non piu' funzionali negli esseri umani moderni - il Siglec -13 e il Siglec -17 - ma che potevano esserlo nei primi ominidi come lo sono nei primati, che avrebbero potuto essere gli obiettivi per batteri patogeni ad alto rischio di letalita'.
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