Contro la tessera del tifoso. Senza timore di essere accostati a ultras, violenti, facinorosi e via dicendo (ammesso, e non concesso, che siano il male assoluto del calcio italiano come qualcuno in malafede vorrebbe far credere). Allora, la tessera: prendete un uomo di 67 anni, romanista, residente a Roma, che sabato sera vorrebbe venire a Milano a vedere la partita contro l’Inter.
Semplice: non può. A meno di non sottoscrivere la tessera del tifoso e piegarsi a fare il viaggio per andare poi a sistemarsi nella «piccionaia» di San Siro, dietro una rete/gabbia, al terzo anello, con gli ultras. Altri biglietti, più costosi e più comodi, non può acquistarli. La legge lo vieta. Non potrebbe comunque, anche se fosse tesserato. «Piccionaia» o a casa. D’accordo, i dati del Viminale dicono che la violenza è diminuita. Ma gli effetti collaterali chi li considera? Nessuno. Se ne fregano tutti, perché quell’attempato tifoso giallorosso, pensionato, pacifico e (meglio specificare) incensurato, la partita se la guarderà in televisione.
E va bene così. Anzi, probabilmente per qualcuno è anche meglio. Cose del genere succedono in tutti gli stadi d’Italia, tutte le domeniche. Degenerazione legalitaria che colpisce obiettivi sbagliati e preclude le trasferte anche a chi mai ha fatto, e mai farà, qualcosa di sbagliato dentro uno stadio. Roba da andare in bestia davvero. Perché non siamo sportivi. Siamo tifosi. E per i tifosi la trasferta è vitale.
fonte: Corriere.it - Gianni Santucci
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