Prosegue il percorso artistico a più tappe di Tannaz Lahiji, “Riflessioni su Dante”, la cui prima tappa è stata inaugurata lo scorso 20 marzo a Palazzo Vecchio.
Sono le tre cantiche dantesche a ispirare l'artista persiana, a Firenze dal 2004, che intuisce come la Divina Commedia non rappresenti solo un viaggio nell’immaginario del poeta ma il senso della vita stessa di Dante in quanto Uomo.
La sua opera magna diventa, quindi, una fonte d’ispirazione che viene rielaborata attraverso lo studio della luce, da oltre cinque anni al centro della sua ricerca.
Tre grandi tele, oggetto della installazione, rivisitate attraverso tre diversi cromatismi, il blu, il rosso e la luce naturale, che restituiscono scenari danteschi trasformati.
Per la città di Firenze, l’artista persiana, Tannaz Lahiji, ha realizzato un grande progetto installativo, dal titolo "Riflessioni su Dante". Si sviluppa come un percorso espositivo a più tappe che prevede la collocazione di alcune opere, pittoriche e non, nelle sedi storiche di Palazzo Vecchio, Museo Casa di Dante, Palazzo Bastogi e Mercato Centrale.
“Pardis" (PALAZZO VECCHIO, SALA D’ARMI)
Il Pardis di Tannaz è la proiezione del suo vissuto in un luogo e un tempo lontani che sono ancora dentro l’autrice e che tornano alla sua memoria come parte di sé che non ha mai dimenticato, ancora impressa nella sua mente e nei suoi sensi. Così Tannaz Lahiji tira fuori il suo io “più antico” e, da performer quale è, riproduce l’esperienza di quei momenti. La Sala d'Arme sarà, quindi, completamente rivestita di una pavimentazione pittorica realizzata dall'artista, con al centro la costruzione della fontana tipica del Pardis persiano, all'interno di un sistema di videoproiezioni che immergeranno completamente lo spettatore nell'atmosfera evocata dai ricordi dell'artista di quei luoghi. L’installazione riproduce la stessa dimensione che l’artista viveva in quei giardini, con i suoni della natura, il canto degli uccelli, l’atmosfera, il senso di pace e l’aria che lei stessa respirava in quel luogo di felicità: il suo paradiso. E propone a Firenze lo stesso contesto ovvero, la stessa dimensione, in modo da offrire anche a noi quell’esperienza, o un’idea ad essa assai vicina.
“Inferno” (PALAZZO BASTOGI)
Il progetto propone la re-interpretazione cromatica di alcune opere di Tannaz Lahiji alla luce di determinati versi dell’Inferno. In questa installazione, partendo dall’amore descritto da Dante nel Canto V, quello di Paolo e Francesca, (siamo nel II cerchio), Tannaz riflette sulla presenza simultanea, nella cantica, del Male - peccato dei dannati e di Lucifero - e del Bene, la cui espressione suprema è per Tannaz l’amore, quello passionale di Paolo e Francesca, ma anche quello intellettuale per la “virtute e canoscenza” di Ulisse. Allo stesso modo, le tele interessate nell’installazione, se illuminate dal blu - luce fredda, priva di compassione - assumono le sembianze di una bolgia infernale, quella del canto V, nel quale la tempesta di vento agita le anime dei dannati e le scaraventa in un movimento tumultuoso e senza fine. Le stesse tele, illuminate di luce rossa - calda, piena di amore - perdono qualsiasi forma infernale e appaiono colme di purezza e candore, annientando ogni tenebra. Solo se esposte alla luce naturale, le tele ritornano alle loro sembianze originarie.
“Riflessioni su Dante” (PALAZZO VECCHIO, SALA DEI PRIORI)
Alcuni indizi d’acqua conducono al piano superiore, nella Sala dei Priori, dove è esposta una preziosa composizione dantesca: la Maschera di Dante accostata a un volume de La Divina Commedia originale del 1400 e a un’opera dell’artista costantemente illuminata da colori e tonalità differenti - correlati ai cromatismi delle tele esposte a Palazzo Bastogi - riproducono una visione originale dell’opera dantesca.
“Busto di Dante” (MUSEO CASA DI DANTE)
In onore a Dante, l’artista colloca all’esterno della struttura un suo busto realizzato in ghiaccio, che non ha solo una forma, ma nasce, vive e muore dentro un arco temporale definito - un giorno - perché una volta esposto, inizierà il processo di liquefazione e scomparirà completamente al termine del tramonto. Dunque, ogni giorno, per un mese, Tannaz Lahiji esporrà un calco del poeta. Come Dante pone Lucifero nel profondo dell’Inferno - infilato nel ghiaccio - per costringerlo all’eterna dannazione, così Tannaz Lahiji incastona Dante nello stesso elemento, ma al fine di condurre il poeta all’eterna lode
“Golosi” e “Vortice di Ulisse" (MERCATO CENTRALE)
In un luogo naturalmente popolato da Golosi - il Mercato Centrale - l’artista presenta una maestosa e imponente struttura a rappresentare un vortice d’acqua: è l’interpretazione della grandezza e solennità del mare che sovrasta Ulisse nel Canto XXVI dell’Inferno, punito per aver seguito la sua ambizione di conoscenza senza preoccuparsi dei principi divini - che valica insieme ai suoi uomini, superando le colonne d’Ercole, limite che non doveva essere oltrepassato. Il seguire solo la ragione ovvero “virtute e canoscenza” - oltre a indurre i suoi compagni a fare altrettanto - è ciò che conduce Ulisse alla morte, inabissandolo e ricoprendolo d’acqua.
“In queste tre interpretazioni, Tannaz Lahiji riproduce il modo in cui decidiamo di vivere e di porci nel mondo: una riflessione che rappresenta anche la verità dell’artista, in grado di rivivere l’opera di Dante alla luce della sua ricerca e della sua vita”, conclude l'autrice dei testi critici d’arte Manuela Antonucci.
Intervista di Cecilia Sandroni all'autrice dei testi critici d'arte della mostra Manuela Antonucci
Come è nato l’interesse per l’arte? Cosa è per te l’arte?
L’ho sempre avuto. Ho sempre osservato tutto ciò che mi circonda. E ho sempre trovato attrazione per l’arte, in particolare quella visiva. L’arte è una forma di vita. O meglio, una porta da aprire e nella quale entrare per comprendere la bellezza della verità, in tutte le sue forme. Cerco l'intuizione del gesto che, passando attraverso l’autore e la propria rielaborazione interiore, evoca tracce radicate nel suo e nel nostro vissuto - razionale e non - rivelando a se stesso e, quindi, anche al mondo, una verità sconosciuta: assoluta, perché insita nell’uomo; eterna, perché destinata a esistere nel tempo.
Come ti poni davanti ad un’opera?
Il mio è uno uno sguardo scevro da rudimenti e pregiudizi, che coinvolge, in primis, la memoria del corpo - sensoriale - i simboli e le tracce lasciate dall’artista le quali, se inizialmente, sembrano appartenere solo all’autore, poi si rivelano appartenere, anche in forma diversa, all’osservatore. Il mio è un tentativo costante di indagare, di andare oltre il “visibile” per cogliere gli indizi e i significati di cui gli altri non si curano. Perché dietro un segno autentico c’è sempre una verità. Solo in questo senso si può trovare la bellezza.
Come fai a cogliere certi “indizi”?
Cercando di non farsi prevaricare dalle informazioni pre-esistenti o, meglio, a utilizzarle secondo un percorso differente: prima i sensi e la memoria, poi la ragione e i nozionismi. E’ un’attività faticosa perché attinge dentro ciò che custodiamo a livello sensoriale e inconscio; è un lavoro “inconsapevole” non razionale. La parte razionale subentra nel momento in cui si devono raccogliere le percezioni e ordinarle fra loro, decodificandole con le giuste logiche e sequenze. Sembra qualcosa di complicato ma non lo è; però è impegnativo perché bisogna rompere i propri costrutti mentali e razionali, vale a dire quella distanza che si crea fra noi e l’opera, e che esiste proprio a causa dei condizionamenti e dei costrutti mentali che abbiamo ereditato nel tempo, vale a dire senza seguire le dinamiche che siamo abituati ad azionare automaticamente. Io dico che bisogna andare oltre l'immagine, “oltre la tela”, che infatti è il titolo della mia monografia... Più il nostro pensiero è complesso, meno riusciremo ad avvicinarci all’essenza dell’opera, a comprendere il gesto intuitivo e autentico dell'artista.
Infatti scrivi che l’arte è una sorta di esperienza
L’arte è la visione dell’esperienza che l’artista proietta dentro l’opera dopo averla interiorizzata. Un concetto che passa per una fase della propria vita; quindi una verità che appartiene all’uomo, a una ricerca autentica che nasce dentro di sé e che diventa artistica. Nell’opera Alla ricerca del tempo perduto, Proust scrive “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è uno strumento che l’autore offre al lettore per permettergli di scorgere quello che, senza quel libro, non avrebbe riconosciuto in se stesso”. E questo a mio parere vale per l’arte in genere, quindi per l’autore e per l’osservatore .
Credi che l’arte abbia un senso sociale?
Assolutamente! “In Art We Trust” è la frase riportata dall'artista Ozmo in una sua opera, ed io la confermo. L’arte è formativa e può abbattere molti muri: quelli dentro di noi e quelli che esistono fra persone di diversa cultura ed etnia. L’arte può fare molto più di tante parole, di leggi e summit internazionali. L’arte è concreta; è vera. L’arte unisce; accorcia le distanze, sgretola i pregiudizi. Almeno, quello che io intendo per arte... ben lontana dalla mera creatività. Ecco, quest’ultima distinzione terrei che fosse chiara.
Hai scritto i testi per il progetto artistico della persiana Tannaz Lahiji “Riflessioni su Dante”: cosa c’è di Dante nelle sue installazioni?
Nulla. Tannaz si è ispirata a Dante in quanto Uomo ed essere capace di provare incondizionatamente odio e amore. E’ rimasta colpita dalla vastità di tutto quell’amore e di tutta quella spietatezza. E ha realizzato 4 installazioni grandiose: una donna che sa scavare dentro di sé e che sa cogliere, in modo autentico, il senso dell’uomo e della sua esperienza di uomo. Una artista che sa che siamo fatti di memoria, negli occhi e nei sensi. Non di fotografie e video sui telefonini, che possono solo allontanarci dal vivere i momenti e le esperienze più importanti.
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