“Riccardo era schiacciato come una cotoletta”, “la faccia era viola”, “un carabiniere è montato sopra e quando era a terra gli sono stati dati tre calci molto forti, erano molto forti”, “si sentiva il rumore dei calci”, “a un certo punto dopo tanti minuti di urla all'improvviso non gridò più”. "Era immobile", "Nessuno mi ha detto che era morto", "non volevo fare la denuncia", "i carabinieri non scrivevano dei calci".
Quei militari, in particolare uno, hanno sferrato calci su Riccardo Magherini ammanettato prono a terra. Gli hanno anche compresso il collo con il ginocchio. E' pacifico, ed è quanto emerso nel corso delle testimonianze durante il processo a carico di quattro carabinieri e due volontari della Croce Rossa Italiana accusati di omicidio colposo.
Nell'aula 28 del Palazzo di Giustizia di Firenze, davanti alla dottoressa Bilosi della seconda sezione penale, hanno parlato undici testimoni. Rimandati al prossimo 14 dicembre, quattro testimoni sempre chiamati sul fermo di San Frediano. Saranno fondamentali per questo processo.
Le testimonianze hanno dato voce alle parole scritte sui verbali. Nulla di nuovo. Aspetti purtroppo ampiamente descritti nelle carte processuai e che ogni volta che vengono ripetuti proiettano il pensiero a come oggi sia possibile che le contestazioni riguardino soltanto la violazione di un protocollo.
Appare inutile ricordare come il referto medico del pronto soccorso che certifica la morte di Magherini, parli di “lesioni su più parti del corpo”. Riscontrate dall'autopsia “quelle al fegato, all'encefalo” quelle su tutto il cadavere di Riccardo. Spaccati che emergono ora, ma che sono noti a molti da tempo. Anche alla Procura di Firenze che non li ha mai definiti all'interno di questo processo.
UDIENZA LUNGA - La giornata inizia con scene paradossali. Dall'aula 28 si passa alla 'striminzita' aula 12. Proteste. Di tutti, anche dei giornalisti. Si torna all'aula 28, che forse non era stata bonificata. Passati gli artificieri, si comincia. Sarà un'udienza lunga. L'aula è fitta di presenti. Guido e Andrea Magherini salutano i tanti Amici del Maghero. Ci sono i volontari della Croce Rossa solidali con i colleghi. C'è il pm Luigi Bocciolini, seguito dai suoi agenti di polizia giudiziaria. Ci sono gli avvocati della famiglia Magherini, Fabio Anselmo e Alessandra Pisa, con Mattia Alfano. C'è il legale dei volontari della Cri Massimiliano Manzo, e in aula come sempre anche le imputate Claudia Matta e Janeta Mitrea, che ha cambiato per la terza volta il legale passando da Borsellino all'avvocato Maccari. C'è l'avvocato Francesco Maresca, difensore degli appuntati Corni, Della Porta e Ascenzi (presente anche stavolta in aula). C'è l'avvocato Riccardo Ragusa, che difende il maresciallo Castellano.
Fatto l'appello iniziano a risuonare forti le parole dei testimoni che hanno ricordato i “calci al fegato” a Riccardo. A sferrarli sarebbe stato l'appuntato Vincenzo Corni, descritto dai testimoni come il “più alto e robusto” “sulla destra di Magherini”. Lo stesso, ma unico, militare accusato di percosse. Che forse un giorno diventeranno “lesioni”.
PUNTO PER I VOLONTARI - Ed emerge dalle testimonianze anche come all'arrivo dell'ambulanza con a bordo i volontari della Cri, oggi accusati dello stesso reato dei carabinieri, “Riccardo non gridava più da qualche minuto”e “dopo aver smesso di urlare emise dei suoni”, “dei rantoli”, “perchè stava male”. “Dopo che era immobile, l'ambulanza arrivò in 3-4 minuti” e “un carabiniere disse 'sì, sì, respira”. La cronaca di quella notte rivela anche come a quei volontari non sia stato consentito di intervenire su Riccardo Magherini immobilizzato, prono, a terra, con due carabinieri sopra.
E la volontaria che ha provato ad inserirsi tra i due militari per cercare di capire le condizioni dell'uomo, riscontrò “0” battiti sull'uomo. Certamente le parole dei testimoni rendono tutto più chiaro. I volontari sono arrivati a San Frediano con Riccardo ormai, come verrà constatato all'arrivo del medico, in arresto cardiocircolatorio. Quindi, avviene tutto in presenza dei soli carabinieri. Probabilmente anche la morte.
I TESTIMONI - Ma durante le oltre 8 ore di udienza sono risuonate parole drammatiche che hanno reso l'idea dell'atmosfera che si respirava quella notte in Borgo San Frediano e nella caserma di Borgo Ognissanti.
IL PIZZAIOLO “RAPINATO” - Il pizzaiolo a cui Riccardo avrebbe sottratto il telefono è smemorato. La sua deposizione in aula è zeppa di “non ricordo”. Non ricorda, come dichiarò quella notte, che Magherini voleva il cellulare per “chiamare la Polizia”, tipico comportamento di un ladro. Si contraddice spesso il pizzaiolo. Oggi dice di non aver visto niente. Al contrario, quella notte firmò una denuncia al maresciallo oggi a processo, ricca di dettagli precisi. E quella rapina, se c'è mai stata, è stato il motivo del fermo che poi ha portato alla morte Riccardo.
DA GHERARDO “NESSUN DANNEGGIAMENTO” - E sempre quella notte Magherini entrò in un'altra pizzeria, Da Gherardo, dove “sbattè contro la porta a vetri”, dice il titolare in aula, ricordando come lui non volesse “denunciare Riccardo per danneggiamenti”, ma era “stanco”, “era prima mattina”, e “firmai quei fogli dai carabinieri per andare via”. “Riccardo non era violento, era solo spaventato”. In quella pizzeria non si ferì come sostengono i carabinieri e come confermato in aula dal testimone russo che ha assistito a tutta la scena. “Non era ferito in faccia” dirà in aula.
LA RAGAZZA DEL DOBLO' - Sara Cassai risponde alle domande di pm, giudice e avvocati per oltre due ore. Lei incontra Riccardo Magherini quella notte. Sale sua auto, un Fiat Doblò bianco, in Borgo San Frediano per poi scendere dopo qualche secondo. Assiste alla scena del fermo. Quella notte la chiameranno d'urgenza in caserma. “Ho visto un ragazzo che chiedeva aiuto” “era stravolto dalla paura”, “non riconobbi che era Magherini”, “diceva piangendo” “non ho fatto niente, sono un padre di famiglia”, racconta la giovane senza mai tradire l'emozione del ricordo. “Non ho visto i calci perchè le gambe erano coperte” ma “vedevo i movimenti di chi dava i calci”. “Riccardo urlava” “poi all'improvviso smise ed emise dei suoni perchè stava male”. Quei “rantoli” descritti all'avvocato Manzo, difensore di due volontari Cri, quei “suoni di persona che sta male”. “Poi divenne immobile” “non gridava più” “e poi dopo 3-4 minuti arrivò l'ambulanza”.
Ma è ciò che succede dopo il fermo di Borgo San Frediano, durante l'interrogatorio dai carabinieri, che lascia turbati sulle modalità d'indagine. “Mi chiamarono alle 5.15 del 3 marzo, era un carabiniere per fare dichiarazioni per il processo per direttissima, nessuno mi disse che Riccardo era morto, entrai in stanza e chiesi come stava, chiesi se gli avevano fatto un Tso e loro mi dissero di sì”. Nessuno le disse che Magherini era morto. Perchè? La risposta è nella denuncia che Sara Cassai ricorda parlando in aula. “Mi chiesero se dovevano scrivere dei calci” “ma nessuno scriveva”. “Per ore il 18 marzo ho parlato con l'ispettore Fracasso delle mie lamentele (poi inviate via mail all'avvocato Anselmo, difensore famiglia Magherini) ma lui mi disse che non erano rilevanti e quindi non verbalizzò”.
IL RAGAZZO RUSSO - Chi incontra Riccardo quella notte è Ilia Batrakov, giovane ragazzo russo “cresciuto a Napoli” che quella sera parteciperà attivamente ai fatti di Borgo San Frediano. “Chiedeva aiuto” spiega “è entrato in un locale e poi uscito e si è inginocchiato urlando”. E' la scena immediatamente dopo la 'rapina' del cellulare. E' il giovane russo, e non i carabinieri, a recuperare il corpo del reato, cioè il cellulare del pizzaiolo. “Gli ho chiesto il cellulare e lui subito me l'ha dato”.
Il ragazzo, che nel video del fermo è la persona con un cappellino che si sente anche chiaramente parlare ed è il più vicino ai carabinieri con cui interagisce, vede tutte le fasi del fermo. E le spiega. “Erano quattro bestie che non riuscivano ad ammanettarlo” specificando poi le successive scene. “E' arrivata ambulanza e aveva carabiniere sopra e il viso diventava di colore viola”, “era schiacciato come una cotoletta”. Il ragazzo risponde alle domande del pm Bocciolini, “sì uno dei carabinieri gli ha dato dei calci sul lato del corpo” “mentre era a terra e non riuscivano ad ammanettarlo” “è stato colpito sul lato destro” “sulla parte del fegato” “con una pausa di 2 o 3 secondi” “del pelato alto”.
E Batrakov rivela un particolare agghiacciante. “Il mio collega urlava 'daglieli più forti'” riferendosi ad un testimone che vede con lui la scena.
Quindi un passante, che quella notte testimonierà in Borgo Ognissanti invitato dai carabinieri, avrebbe incitato i militari a continuare a colpire Magherini con calci ancora più violenti. Il testimone russo parla molto in aula.
“Conosco lo stivale dei carabinieri perchè sono cresciuto a Napoli, ho preso calci e so che fa molto male” ma spiega anche di aver visto “il ginocchio dietro al collo che teneva ferma la testa” “il carabiniere pesava tipo 100 kg” e la “faccia era schiacciata a terra ed era viola”.
Una testimonianza fortissima. Ma che si contraddice quando il giovane russo conferma versioni diverse tra loro. “I calci non erano forti ma lo stivale fa male” risponde all'avvocato Maresca. Quindi i carabinieri hanno dato dei calci. Questo è pacifico. Ma questi calci non sarebbero stati forti secondo il testimone. Ma anche un calcio dato piano, e che non andrebbe mai dato, con gli stivali dei carabinieri fa male. Batrakov parla di uno “sgambetto” al posto di un “calcio”. E del ginocchio sul collo poi dice che “era fermo e nessuno ha fatto pressione”. Versioni discordanti rispetto a quando parla di Magherini come una “cotoletta schiacciata”. Poi il difensore del maresciallo Castellano prova nell'ardua impresa di far dire al testimone che Magherini scalciava. Non ci riesce.
Queste contraddizioni cercano di essere chiarite ancora dal pm ma il testimone balbetta ancora. La pressione sul collo è stata “dedotta”. Frasi nette, ma molta confusione in questa testimonianza.
IL VIDEO E QUEI FRATELLI IN CONFUSIONE - Come in quella di due giovani fratelli, una donna ed un uomo sui trent'anni. Lei riprenderà con il proprio telefonino la scena del fermo nel video che da mesi racconta l'agghiacciante fine di Riccardo Magherini. “Ho iniziato a riprendere perchè lui urlava di raccontare e scrivere quello che gli stava succedendo” “ma non volevo fare un video ma una foto”. La ragazza vede “un calcio per tenerlo bloccato a terra e poi uno col piede sopra per farlo stare fermo” ma sostiene di non aver “visto l'intenzione di fargli male, ma solo per tenerlo buono e farlo stare fermo”. Educativi insomma. Bah. Comunque quello “che gli ha dato il calcio era sulla destra dove lo colpì e lui urlo 'ahia'”, “aveva un colorito violastro” “poi ho sentito la voce di una donna chiedergli come si chiamava ma lui non ha risposto”. Poi però la giovane inizia una successione rapida di “non ricordo”. Sia per il carabiniere che ha dato il calcio, sia dell'intenzionalità del calcio, sia per quanto riguarda carabinieri sopra Magherini. Eppure il video da lei registrato mostrerà immagini un po' diverse. Vari “ahia” di Magherini rispetto all'unico ricordato dalla donna.
Anche il fratello della donna, che assiste anche lui alla scena e nel video parla come se fosse chiaramente con lo sguardo dietro alla scena, in aula racconta di non vedere bene. “Metà della scena era coperta dall'auto sicuramente. Ho sentito il rumore dei calci ma non vedevo”. Nei verbali aveva detto altro e quando gli viene fatto notare il testimone rileva di aver “detto queste parole perchè è stato quello che mi è sembrato di vedere”. Insomma lui ha “sentito” i calci ma non li ha visti. E ascoltando anche la sua ultima risposta a Maresca viene da capire cosa in effetti abbia visto. “Lei era coperto come punto di visione?” domanda il legale. “Sì” risponde il testimone “solo chi si è inginocchiato era nella mia visuale”. Ma se era accanto alla sorella che riprendeva come ha fatto a non vedere se il video è fin troppo chiaro?
“CALCI MOLTO FORTI” - Chi ha visto tutto e lo dice senza tentennamenti dalla finestra della sua abitazione al primo piano sopra l'ex cinema Eolo, è un signore sui sessant'anni. “Un carabiniere è montato sopra Riccardo e quando era a terra gli sono stati dati tre calci molto molto forti”, “molto forti” “dallo stesso carabiniere” “erano calci violenti” “sferrati da un solo carabiniere” “e gli sono stati tutto il tempo sopra” “gli hanno strappato la camicia”. Non tentenna l'uomo, neanche davanti alle domande dell'avvocato Maresca. “Non ho più rivisto la famiglia Magherini dopo la fiaccolata”. Come a dire, non mi hanno detto loro cosa dire.
Sono cose avvenute davvero. Fatevene una ragione. Tutti.
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