Firenze è una città maledetta per l’Arma dei Carabinieri. L’accusa di stupro ai due militari, che avrebbero violentato due studentesse americane, è soltanto l’ultima macchia per la Benemerita. Una vicenda che fa emergere retroscena inquietanti all’interno dell’Arma e che la Procura militare di Roma vorrebbe chiarire.
A Firenze, negli ultimi anni, ci sono stati fin troppi episodi oscuri che hanno visto coinvolti uomini dell’Arma. Firenze è la città che ha sentito le urla di aiuto e i sospiri di morte di Riccardo Magherini. Le grida strazianti di un uomo che ha smesso di respirare con quattro carabinieri sopra.
A quei tempi, a marzo del 2014, il comune di Firenze non si costituì parte civile come ha già annunciato ora (ancora non si sa a cosa, nda); nessuno guardò l’immagine di una telecamera; i carabinieri, ora condannati, svolsero le prime indagini.
Sono solo tre aspetti di una vicenda che, se avesse visto la stessa attenzione che la Procura Militare ha messo nel presunto stupro delle studentesse americane, probabilmente avrebbe potuto avere un epilogo peggiore per l’Arma e per i quattro carabinieri coinvolti nella morte di Riccardo Magherini, con tre volontari della Croce Rossa.
Nella vicenda delle due studentesse americane, al coro di (sacrosanta) condanna di quanto accaduto e accertato, ha alzato la voce anche il ministro Pinotti. Olé. Invece Guido Magherini, il padre di Riccardo, ha dovuto scrivere al ministro Orlando per poter seppellire il figlio, in un inspiegabile vortice di diritti negati.
A Firenze, oggi, purtroppo, tutti sanno chi è Riky. Sono meno conosciute, invece, alcune parentesi oscure dell’Arma in questa città.
Una vicenda inquietante, che si è consumata tra il 2010 ed il 2011, è quella che riguarda un (ormai ex) maresciallo dell’Arma di una caserma di Firenze sud. Il militare è finito a processo per aver 'arruolato' un pentito di mafia, ex affiliato di Cosa Nostra, facendolo diventare un luogotenente dei carabinieri. Con tanto di perquisizioni fatte insieme.
Sembra la trama di un film ma è quello che è veramente accaduto a Firenze.
L’obiettivo del maresciallo e del pentito è quello di tirare su un giro di strozzinaggio di quartiere. Ma l’operazione per arrivare ad un capitale più grande (un prestito in ufficio postale) va male e i due vengono scoperti.
Non prima, però, di aver fatto irruzione insieme, in un appartamento dove abitava una coppia di coniugi romeni, effettuando una perquisizione non autorizzata. Il pentito è ormai entrato nella parte, e nell’occasione prende a calci la porta, scardina un'anta, ammanetta senza motivo uno dei presenti.
Dalla casa spariscono due passaporti e un computer, e addirittura una persona viene fatta salire a bordo dell'auto del pentito e portata in caserma dove viene trattenuta per circa un'ora.
Un fatto inquietante, costato al momento dei fatti, al maresciallo la sospensione dal servizio, e al pentito la riapertura delle porte del carcere romano di Rebibbia.
Le accuse per i due erano quelle di truffa, sostituzione di persona, violazione di domicilio, danneggiamento, violenza privata, furto e sequestro di persona. In una vicenda poco seguita dalle cronache anche per il massimo riserbo mantenuto dall’Arma.
Nell'episodio il maresciallo, saputo dell’arresto del pentito, ha effettuato vari accessi nel sistema informatico militare per ottenere informazioni sull’inchiesta. E anche di questo ha dovuto rispondere in un processo che attende la sua conclusione in Cassazione, e che ha visto dure condanne nei due gradi di giudizio precedenti.
Una vicenda tenuta in un cassetto che lascia interdetti. Quasi come quella della morte di Sergio Ragno, un giovane carabiniere brindisino in servizio a Firenze.
Giugno 2004, Sergio, 24 anni, ha finito il suo servizio ma viene richiamato dal suo capitano per un’operazione antidroga al Parco delle Cascine, devono seguire e fermare alcuni spacciatori vicino ad una discoteca.
Ragno arriva in moto ed è in borghese, come gli altri suoi cinque colleghi chiamati per l’operazione. E’ pianificata per il pomeriggio verso le 17. Arrivati sul posto, però, il blitz viene spostato alle 20. In questo lasso orario Ragno muore in un incidente stradale.
E’ investito in moto da un’auto che compie due inspiegabili inversioni a U, e la seconda è fatale per il giovane carabiniere. Alla guida della Fiat Panda grigia c’è una ragazza, che uscirà in gravissime condizioni dall’impatto.
Venti minuti prima dell’incidente, in una tragica fatalità, aveva avuto il tempo di rispondere alla madre per dirle che era impegnato in un’importante operazione e che non poteva stare al telefono. Un incidente, ne accadono molti, è il parere di tutti quelli che si occupano della vicenda.
La Procura di Firenze dopo sei mesi d’indagine archivia il caso anche sulla relazione dei carabinieri, che si affrettano a scrivere che viene “esclusa qualsiasi connessione tra l’incidente mortale e il servizio istituzionale”.
Oltretutto secondo l’Arma, Ragno era lì per passare del “tempo libero” e non certo occupato in un’operazione “comandata”. E questo è l’aspetto più assurdo di questa vicenda. Perché dire questo, se l’ordine era arrivato direttamente da un capitano?
Lo ha chiesto a gran voce la madre del 24enne morto. Le testimonianze, che ha registrato e depositato, confermano invece che al comando erano informati dell’operazione e che i suoi colleghi, come Ragno, erano alle Cascine in "un servizio comandato in borghese".
Un’operazione a cui parteciparono sei carabinieri, tre in moto e tre in auto, tutti arrivati sul con i propri mezzi e indossando abiti civili.
Eppure dall’Arma lo negano oppure, inspiegabilmente, omettono di scriverlo, tanto che a Ragno, appunto, non viene riconosciuta neanche la causa di servizio. Erano lì per caso, insomma.
Inoltre se aggiungiamo la scomparsa del cellulare del carabiniere e della sua agenda su cui scriveva tutti i suoi servizi, aumenta la lista di situazioni quantomeno strane.
La cronaca dell’incidente mortale racconta anche della presenza dei vertici dell’Arma sul luogo del decesso. Abbracci, lacrime, per quel bravo ragazzo.
Eppure proprio i carabinieri, alti ufficiali, sembrano essersi dimenticati di quel bravo ragazzo e di quell’operazione antidroga.
Altre inchieste sui carabinieri sono apparse sulla cronaca fiorentina, come quella per corruzione che vede coinvolto un maresciallo della provincia di Firenze, o quella del furto di denaro dell'appuntato in servizio ai cinofili che falsificava i rimborsi delle trasferte dei colleghi. Ma anche al maresciallo affiliato alla camorra nella gestione di locali notturni, i due Nas che hanno patteggiato per Permessopoli, fino al comandante dei carabinieri di Toscana indagato nel tritacarne Consip.
Vanno anche ricordate, per giustizia, le assoluzioni per tutti quei militari implicati in un discusso processo per arresti illegali, con il ribaltamento delle condanne di primo grado, e dei tre carabinieri assolti dall'accusa di violenze sessuali durante una perquisizione. Storie altrettanto brutte che però non servono a pareggiare i conti. E non possono pareggiarli, perché c’è lo Stato dall’altra parte.
La storia delle studentesse americane sta facendo emergere, con certezza, almeno gli aspetti disciplinari violati con estrema scioltezza dai due carabinieri oggi indagati per stupro. Violati con uno stile che lascia poco spazio all'improvvisazione.
Far salire due straniere in auto per portarle a casa e comunicare via radio di essere impegnati in un controllo, quando invece nella migliore delle ipotesi i due erano impegnati in un amplesso, mentre nella peggiore verranno condannati per violenza sessuale, non li rende certamente dei buoni carabinieri.
Anzi, li fa apparire agli occhi di chi osserva, quasi come dei bulletti, quasi a dire “tanto a noi non ci beccano”. Impunibili.
Perché questi comportamenti? Perché questa omertà? Domande, che in queste storie si ripetono, e che hanno come filo conduttore Firenze ed i carabinieri.
C'è qualcosa che non va nell'Arma fiorentina? C'è un sistema cameratesco di protezione? Qualcuno è abituato a fare come vuole? No, speriamo di no. Però non si può ridurre tutto alle solite “mele marce”, ed occorre indagare.
Prima di tutto per l'Arma dei Carabinieri. Perché di fiducia verso di loro, ne è stata persa già fin troppa. Poi per i cittadini. Quelli normali, che se si ritrovano accusati di violenza sessuale, tanto per fare un esempio, finiscono dritti in carcere.
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