Nel corso delle indagini sui cosiddetti mandanti esterni nelle stragi di mafia del '93 ci sono state «alcune reticenze», anche da parte di «uomini dello Stato, protagonisti in quella stagione», che hanno impedito di arrivare ad una verità. Lo ha detto Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, a margine di un dibattito alla festa nazionale di Libera in corso a Firenze. «Un conto è la verità processuale - ha aggiunto Ingroia - che ha bisogno di prove solide e granitiche, un conto è la verità storica. Sul piano storico e giornalistico si può ritenere accertato che non furono solo stragi di mafia, e lo dicono anche alcune sentenze. È altrettanto vero - ha continuato - che sono passati ormai quasi 20 anni e non si è individuata nessuna verità giudiziaria, nessuna responsabilità processuale a carico dei mandanti esterni». Per Ingroia «fino ad oggi c'è stato uno scollamento tra verità storica e verità giudiziaria che dipende da tanti fattori e, credo, da una certa reticenza da parte di uomini dello Stato che sono stati protagonisti in quella stagione. Reticenza - ha concluso - che si è rotta solo in parte negli ultimi tempi e che ha impedito alla verità di venire fuori tutta per intero». In merito poi alle dichiarazioni del ministro dell'Interno Roberto Maroni che ha parlato di «un colpo di spugna» nel 1993 sul 41 bis, Ingroia ha osservato: «Mi pare un eccesso, in realtà non fu un colpo di spugna; è vero che ci fu, chiamiamolo un calo di tensione, alcuni 41 bis non prorogati; in alcuni casi, per la verità, la mancata proroga era anche giustificata, in altri sembra meno, ma questo è oggetto di indagini da parte della procura di Palermo».
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