di Claudio Martini - Del mondo Bikers si è scritto e detto tanto, la letteratura ed il cinema ci hanno regalato pagine ed immagini indimenticabili di questi centauri che, attraversando la strade e la storia americana, hanno dato vita a movimenti artistici e culturali; come non ricordare Marlon Brando in Fronte del porto o Jack Nicholson in Easy Rider, come dimenticare che motociclisti sono gli ispiratori della Pop Art e della Beat Generation.
Il fenomeno dei MotorCycles Club prende vita alle soglie degli anni sessanta e trasforma un bisogno di cambiamento in un bisogno di libertà e loro, i bikers, ne sono i paladini.
Sono passati sessant’anni dalle prime scorribande nelle sterminate strade Americane, tutti noi conosciamo la Route 66, ma cosa resta oggi di quel mondo fatto spesso di emarginati e reduci di una guerra che nessuno ama?
L’ho chiesto a Pietro fondatore degli Iron Fist; lo “incontro” virtualmente in questi tempi di distanziamento sociale e ciò che percepisco subito è proprio questa difficoltà a concepire il distanziamento sociale come qualcosa con cui dover convivere a lungo, le sue parole sono diametralmente opposte alla “vita a distanza”.
Il Boss, nomignolo che lo segue da anni, da quando ancora non era il Big Boss degli Iron fist, è l’antitesi del concetto “stammi lontano”.
In lui albergano sentimenti che vanno molto indietro nel tempo, che risalgono ad altri Centauri, quelli delle Compagnie di Cavalieri accomunati da una fratellanza nata sui campi di battaglia medioevali e sono le persone come lui che possono scrivere nuove pagine del mondo Bikers.
Non è stato un percorso semplice quello del Boss nel panorama MotorCycles Club italiano, non è stato facile far capire ai Motociclisti dal giubbotto tempestato di peach che il distintivo che porta nella vita quando è Pietro non ha nulla a che vedere con il Boss che sale sulla sella della sua Castom.
E’ testardo questo romano dal sapore antico, è testardo e determinato ed è stata questa sua determinazione a farlo diventare il Boss.
Mentre mi racconta le sue prime esperienze nei motoraduni lo immagino come un Bimbo che si affaccia nel mondo degli adulti, la sua voce tradisce l’emozione di chi sa già cosa farà da grande.
Come dicevo non è stato un percorso facile, quella Placca che ha nel portafoglio rappresenta spesso un ostacolo quasi invalicabile per accedere al mondo MC.
Ha dovuto superare le ostilità di chi vede come “nemico” ogni rappresentante delle Forze dell’Ordine, ha dovuto lottare contro il pregiudizio che lo immaginava lì per “spiare”, ha forgiato il suo gruppo separando la sua vita fra Pietro e il Boss, mantenendo sempre alti i valori che fanno di lui l’uomo che è.
Gli Iron Fist sono, quanto di più vicino esista al concetto moderno di Ordine Cavalleresco, ruvidi, spigolosi ma accomunati da quel concetto di rispetto e fratellanza di cui oggi abbiamo tanto bisogno.
La telefonata prosegue fra storie e aneddoti degni di un film on the road, con girate indimenticabili e qualche incontro a “muso duro”, mentre lo ascolto sono proiettato i bar fumosi e in parcheggi bui dove si consuma una sfida degna dell’OK Corral, ma ciò che emerge sempre è l’orgoglio di un uomo che ha saputo portare la sua idea, il suo modo di interpretare il mondo MotorCycles Club in una dimensione diversa, dove non ci sono solo l’asfalto e il rombo del motore, ma c’è amicizia, solidarietà e prese di giro degne di Amici Miei.
Oggi il MotorCycles Club Iron Fist può a buon diritto ascriversi alla storia del movimento Bikers e quei due pugni che si toccano presenti come un marchio sulla loro schiena, sono quanto di più bello si possa immaginare in questo momento di separazione perché non rappresentano la violenza, bensì il saluto, un saluto a chi, come loro, è nato per sentire il vento sulla faccia, per sentire suo fratello ogni altro motorista.
Ci salutiamo con l’augurio che quei due pugni tornino a toccarsi molto presto, sarà meraviglioso per loro, sarà meraviglioso per noi.
Claudio Martini
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