di Christian Campigli - Che connessione esiste tra l'inchiesta più importante degli ultimi cinque anni e il crollo del Lungarno Torrigiani? In teoria, stando ai fatti fin qui emersi, assolutamente nulla. In pratica però ci sono ancora molti, troppi dubbi. Perplessità e sospetti che alimentano una serie di voci sicuramente infondate, ma delle quali la città non ha davvero bisogno. Entriamo nello specifico. Un anno fa la forza prepotente dell'acqua mise nuovamente, mezzo secolo dopo il lontano 1966, in ginocchio Firenze. La città si svegliò e capì presto la gravità dell'evento.
Quell'immagine, forse anche per la vicinanza con il centro storico più bello del mondo, fece il giro del globo. Tutti gli organi di informazioni, siti, televisioni, radio e giornali dedicarono la propria apertura a quel crollo. Dodici mesi dopo, passando per quelle splendide strade che portano a Ponte Vecchio, si capisce come la vicenda sia lontana dal potersi definire archiviata. C'è stata un'inchiesta, che però non ha sancito ancora il nome di un colpevole. Ma soprattutto c'è un conto significativo che nessuno vuol pagare. Tra i cittadini esiste la consapevolezza, e non solo il timore, che tale conto possa presto finire in bolletta. Magari con un colpo di magia, di quelli che nella nostra nazione si vedono un giorno sì, e l'altro pure.
Ma non va neppure dimenticata l'ingombrante presenza di un grande cantiere, testimonianza viva ed evidente che l'inaugurazione voluta tra mille sfarzi lo scorso 4 novembre (alla presenza di Mattarella) era solo una facciata. Il sindaco Dario Nardella, pochi ore dopo il crollo, disse ai quattro venti che il colpevole avrebbe pagato. Per intero. E che i cittadini non sarebbero stati minimamente coinvolti nelle spese del restauro del ponte. Una presa d'atto importante, applaudita sia dalla maggioranza che dall'opposizione.
Dopo poche ore cadde la prima testa, quella dell'amministratore delegato Alessandro Carfì. Silurato da Publiaqua e rientrato in meno di un mese, nel gioco delle scatole cinesi, alla Geal. La ditta fiorentina commissionò anche una propria relazione tecnica sul crollo. E diede inizio ad un ping pong di accuse, più o meno velate, con Palazzo Vecchio.
Nel frattempo sono passati i mesi e le prime pagine dei quotidiani nazionali sono state prese d'assalto dall'inchiesta Consip. Un fascicolo che ancora oggi vede coinvolti nomi importanti della politica nazionale. E che ha scosso dalle fondamenta l'intera politica renziana. Il presidente di Publiacqua Filippo Vannoni, uno dei migliori amici da tempi immemori dell'ex premier, è stato ascoltato come testimone sulle presunte irregolarità dell'appalto pubblico da oltre due miliardi e mezzo di euro.
Che ha raccontato ai pm? Impossibile saperlo. Nelle ultime settimane però si sono rincorse, in modo vorticoso, voci sui motivi dell'addolcimento dei toni da parte della maggioranza che guida Firenze nei confronti di Publiacqua. Secondo questi spifferi, che circolano sia in rete che nelle segrete stante del potere gigliato, tale scelta sarebbe figlia della paura che Vannoni possa tornare a bussare alla porta dei magistrati napoletani.
E magari raccontare segreti inconfessabili. Correre dietro a certe dicerie è pericoloso.
Ma si sa, talvolta i sospetti si auto alimentano, in particolar modo su internet. E allora una salda presa di posizione del primo cittadino, che ricordi come quel conto non possa e non debba essere pagato, neppur in minima parte dai cittadini, non solo è auspicabile. Ma diventa persino doveroso.
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