'Il tribunale del Riesame ha affermato la sussistenza del fumus del delitto valorizzando il dato probatorio del finanziamento percepito dalla Fondazione Open, senza dimostrarne il carattere illecito''. E' quanto scrivono i giudici della Sesta sezione penale della Cassazione che lo scorso 18 febbraio hanno annullato senza rinvio l'ordinanza del tribunale del Riesame di Firenze e il decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura il 20 novembre 2019 nei confronti di Marco Carrai nell'ambito dell'inchiesta sulla Fondazione Open.
I supremi giudici avevano ordinato la restituzione a Carrai, assistito dall'avvocato Massimo Di Noia, di quanto gli era stato sequestrato.
''Il giudice del rinvio ha, infatti, considerato unitariamente il coacervo dei contributi raccolti dalla Fondazione Open e destinati al finanziamento della corrente renziana anno per anno, senza distinguere le varie tipologie di contributori considerati dalla fattispecie incriminatrice. Il tribunale del Riesame - scrivono i supremi giudici - ha dunque obliterato che nel delitto di illecito finanziamento ai partiti il perimetro dell'area del penalmente rilevante muta a seconda della natura del soggetto contributore, e segnatamente, a seconda che sia un soggetto pubblico (o a partecipazione pubblica) o a una società privata e che in tal caso illecito non è l'erogazione del contributo in sé considerato ma l'inosservanza all'obbligo di trasparenza sub specie di adozione di una delibera assembleare e di iscrizione del finanziamento in bilancio''. '
'Nell'ordinanza impugnata, peraltro - sottolineano i supremi giudici - vengono anche richiamati finanziamenti di privati o degli stessi parlamentari alla fondazione politica che, tuttavia, sono espressamente leciti''.
''Ritiene pertanto il Collegio, nei limiti propri del sindacato cautelare, che il Tribunale del riesame nel qualificare la Fondazione Open, del quale Carrai era componente del consiglio direttivo, 'articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico (corrente renziana)' non abbia rispettato i principi già affermati dalle sentenze rescindenti emesse nelle precedenti fasi di questo procedimento e soprattutto non abbia considerato compiutamente la disciplina dettata per le fondazioni politiche nel testo vigente all'epoca dei fatti.
"Tali rilievi - concludono i giudici della Cassazione - unitamente a quelli formulati in ordine alla carenza della dimostrazione, sia pure in termini di fumus commissi delicti, dal carattere illecito del finanziamento e alla distonia tra i beni in sequestro e il reato per il quale la misura cautelare è stata disposta, impongono l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata, nonché del sequestro probatorio'' e ''la restituzione al ricorrente dei beni acquisiti, ivi compresa la copia integrale del contenuto dei supporti informatici''.
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