C’era anche l’assessore ad Accoglienza e Integrazione del Comune di Firenze Sara Funaro sull’undicesimo treno della memoria, che è partito domenica 20 gennaio dalla stazione di Santa Maria Novella alla volta di Cracovia e dei campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau e Auschwitz I, organizzato dalla Regione Toscana in collaborazione con il Museo della deportazione di Prato, sotto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica. A bordo c’erano tra gli altri oltre 550 studenti delle scuole superiori toscane e i testimoni dell’Olocausto: Andra e Tatiana Bucci, le sorelle scampate a Birkenau e al dottor Mengel, Silva Rusich, la figlia di Sergio Rusich deportato politico al lager di Flossenburg ed esule istriano testimone della deportazione politica.
Di seguito l’intervento completo dell’assessore Funaro in Consiglio comunale, dove oggi si è tenuta la commemorazione della Giornata della Memoria:
“Quest’anno per la prima volta ho deciso di visitare quelli che sono stati i luoghi del terrore, i campi di concentramento, i luoghi delle testimonianze dei nostri anziani e dei nostri nonni, quei luoghi che abbiamo sentito raccontare per tutta la vita, quei luoghi che avevo timore a visitare per le sensazioni che avrei provato. Poi, però, è arrivato il giorno in cui ho sentito il dovere individuale e collettivo di onorare le memorie del passato, le memorie dei milioni di persone che oggi non ci sono più e di chi essendoci ancora continua con grande senso di responsabilità a tramandare la propria esperienza ai tanti ragazzi che hanno deciso in questi anni di conoscere e di farsi a loro volta testimoni.
È così che inizia il nostro viaggio della memoria: con 550 ragazzi provenienti da tutta la Toscana, che hanno deciso di compiere questo viaggio non come un viaggio celebrativo, ma come un viaggio di conoscenza, di approfondimento che li cambierà profondamente, un viaggio che cambia ognuno di noi profondamente. Da un viaggio come questo si torna cambiati. C’è qualcosa che lavora dentro di noi e spesso non si sa spiegare il perché; si torna più feriti, ma anche più consapevoli dell’atrocità di cui è capace l’essere umano; consapevoli del fatto che non c’è limite oltre il quale il genere umano può spingersi.
L’arrivo a Birkenau è stato il momento più duro. Era freddo, c’era la nebbia ed era una nebbia fitta, che si tagliava come con un coltello; c’era la neve, quella neve che normalmente dà senso di pace, mentre là in quell’occasione dava solo un immenso senso di desolazione. E poi c’è stato l’ingresso nel campo di concentramento, quell’ingresso maledetto che abbiamo visto tutti nei film, nelle foto, letto nei libri, e che non è possibile descrivere a parole. Basterebbe quell’ingresso con i binari che entrano dentro per far riaffiorare i tantissimi racconti dei nostri anziani. I ragazzi erano ammutoliti. Nonostante fossimo stati in tanti era come se ognuno di noi fosse solo, rinchiuso in se stesso a cercare di ascoltare le emozioni che ti travolgevano.
Le parole della senatrice a vita Liliana Segre sono quelle che meglio rappresentano l’arrivo alla Yuden Rampe: “Sei arrivata in un mondo che non è un mondo, sei arrivato in un incubo, fai parte di un disegno diabolico a cui tu non sei preparato, ti chiedi perché…. come si fa a 13 anni a non impazzire quando vedi questo mondo in cui l’ordine, la severità il terrore applicato ad ogni essere umano fino a che è in vita ti trasforma in un numero, in uno schtuk, in un pezzo così come volevano i tuoi assassini che fossi”.
Bruno Bettelheim diceva che “i campi di concentramento servivano per rendere i prigionieri una massa indifferenziata e sottomessa, per predisporre una situazione sperimentale per lo studio dell’uomo e i mezzi per assoggettarlo meglio e dei limiti di sfruttamento del suo corpo in condizioni di schiavitù”. La sua testimonianza e ancora più quella di Primo Levi rendono conto della diabolica distruzione dell’identità individuale e collettiva, ogni singolo angolo di quei luoghi era studiato e progettato per annientare l’essere umano.
Ha colpito ognuno di noi la testimonianza delle sorelle Bucci in cui ricordano come la loro madre quando le incontrava ricordava come si chiamavano, nome e cognome. Il rischio soprattutto con i bambini era quello di scordarsi chi si era in quell’inferno.
Ad Auschwitz e Birkenau si entra in contatto con tutto questo, non si può comprendere, ma il contatto con questi luoghi si sente nel corpo e si vede negli occhi dei ragazzi, quegli occhi spesso pieni di lacrime che dicono molto di più delle parole.
Ognuno di noi si stringeva nei propri cappelli, guanti, giubbotti. Ognuno di noi teneva stretti i propri oggetti, quegli oggetti che abbiamo visto nella nostra visita: le scarpe, gli occhiali, le valigie, le foto, ammassati a migliaia, indifferenziati. Quegli oggetti che prima che un numero hanno dietro un nome, una storia, una vita spezzata. Quegli oggetti nella quotidianità possono sembrare banali, scontati, ma quando ne vieni privato è come se andasse via un pezzo di te.
Gli esseri umani non sono solo portatori della propria individualità, ma di un’appartenenza collettiva, culturale, religiosa e familiare spesso rappresentate da oggetti che assumono significati profondi.
I nazisti e i loro alleati hanno assassinato le persone, hanno tentato di annientare le appartenenze, hanno isolato gli individui. Hanno creato un meccanismo di tortura, il più diabolico messo in piedi nella storia dell’umanità. Hanno messo insieme tutte le categorie di tortura che possono esistere e che, singolarmente o associate, si possono purtroppo ritrovare ancora oggi in tante parti del mondo: privazioni, terrore, dolore, violazione dei tabù sessuali e disumanizzazioni, umiliazioni culturali, violazione dei tabù culturali fino alle procedure che portano alla costruzione di situazioni che implicano una scelta impossibile da parte del torturato.
Penso che ognuno di noi non solo possa conoscere tutto questo in modo più profondo dopo il viaggio della Memoria, ma penso che ognuno di noi, che ognuno di quei ragazzi che hanno partecipato a questo viaggio, possa fermarsi a riflettere su quello che è accaduto e su quello che accade ancora oggi nel mondo.
Vorrei concludere questo mio intervento con un pensiero di Primo Levi, che ho letto ai ragazzi durante il viaggio, un pensiero che penso possa servire a tutti noi: “Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’iniezione serpeggia. A molti individui o popoli può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni Straniero è nemico, per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un’infezione latente, si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa di un sillogismo, allora al termine della catena sta il lager”.
Sono sicura che saranno proprio i ragazzi, che con le loro coscienze e il loro senso di responsabilità, spezzeranno ‘le catene’ del presente e del futuro.
Dedico questi pensieri a tutti quei bambini per cui il ritorno a casa è stato un concetto impossibile; a tutti quei bambini che a causa dell’odio sono stati costretti a diventare adulti troppo presto e mai sono arrivati all’età adulta. E a tutti quei bambini che ancora oggi nel mondo cercano una casa e hanno diritto a non essere vittime dell’odio e a vivere la propria infanzia".
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