L'articolo di oggi a cura di Sandro Susini, consulente del lavoro e fondatore di Susini Group, si occupa di un argomento di stretta attualità come quelli dei vaccini anti coronavirus. Un tema che continua a dividere l'opinione pubblica, nonostante i drammatici dati dell'emergenza Covid-19, e che vede i suoi riflessi anche nel mondo del lavoro in tema di licenziamenti.
Nello specifico, verranno analizzati gli articoli 32 della Costituzione, il 29 bis del Dl 23/2020, e il 2087 del Codice civile Dlgs 81/2008.
Art. 32 della Costituzione
L’art. 32 della Costituzione afferma che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per legge
Attualmente non è stata prevista alcuna imposizione legislativa che impone ai lavoratori di sottoporsi al vaccino anti Covid.
Art. 2087 del codice civile
L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Art. 29 bis del Dl 23/2020 (conversione in legge n. 40 del 5 giugno 2020)
La presente normativa è stata emanata in relazione all’emergenza Covid e sancisce che i datori di lavoro devono adempiere al dovere di sicurezza di cui all’articolo 2087 del Codice civile mediante l’applicazione dei protocolli anti contagio.
Detti protocolli contengono le linee guida condivise dalle Parti per agevolare le imprese nel contrasto e la diffusione del virus negli ambienti di lavoro durante la prosecuzione delle attività produttive. La mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività.
Nessun riferimento emerge nei protocolli in merito all’obbligo di vaccinazione dei lavoratori.
Dlgs 81/2008: E’ il Testo unico sulla sicurezza che prevede l’obbligo della predisposizione del documento di valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro in collaborazione con il medico competente, RSPP e RLS.
La valutazione comporta l’esame di tutti i rischi presenti in azienda finalizzata a pianificare l'attuazione delle misure volte alla loro eliminazione o riduzione a livello accettabile e prevede, addirittura, la possibilità di somministrare vaccini a cura del medico competente.
Nel caso in cui un lavoratore rifiuti di farsi vaccinare, il medico competente ha il potere, nell’ambito della sorveglianza sanitaria, di disporne l’allontanamento temporaneo secondo le procedure previste per l’inidoneità alla mansione.
L’impossibilità temporanea di rendere la prestazione libera il datore dall’obbligo retributivo e potrebbe portare al licenziamento per giustificato motivo oggettivo qualora l’assenza dal lavoro arrechi pregiudizio all’organizzazione aziendale.
L’importanza del Contratto Collettivo
Un importante contributo alla gestione del rifiuto alla somministrazione del vaccino da parte del lavoratore potrebbe arrivare dalla Contrattazione Collettiva di qualsiasi livello.
Infatti, anche la libertà di sottoporsi o no alla vaccinazione contro il Covid-19 è passibile di limitazione da parte della fonte contrattuale.
La Contrattazione Collettiva, anche di secondo livello, potrebbe individuare quale causa di licenziamento il rifiuto di vaccinarsi da parte di un lavoratore poiché in contrasto e in violazione dell’art. 2087 del codice civile.
Si pensi, ad esempio, ad un contesto sanitario come le R.s.a., dove il documento di valutazione dei rischi potrebbe evidenziare un maggior rischio di contagio da parte dei non vaccinati e il medico competente ne impone l’obbligatorietà della somministrazione.
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