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LXXXI edizione

Festival del Maggio Musicale: martedì 19 la prima de Il Prigioniero/Quattro Pezzi Sacri

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Immagine articolo - ilsitodiFirenze.it

È il terzo appuntamento con l'opera del LXXXI Maggio Musicale quello che martedì 19 giugno alle 20 (repliche giovedì 21 alle 20 e sabato 23 alle 15:30) vedrà sul palcoscenico del Teatro del Maggio di Firenze Il Prigioniero di Luigi Dallapiccola e i Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi in un nuovo allestimento firmato da Virgilio Sieni nelle vesti di regista e coreografo, mentre sul podio salirà il maestro Michael Boder. È il pessimismo che sostanzia l’opera di Dallapiccola – eseguita per la prima volta al XIII Festival del Maggio Musicale Fiorentino nel 1950 - l’ideale filo rosso che collega l'opera del compositore novecentesco ai Quattro pezzi sacri - Ave Maria, Stabat Mater, Laudi alla Vergine Maria, Te Deum - di Giuseppe Verdi.

Il Prigioniero, opera in un prologo e un atto
“Ero solo. Tutto era buio. Buio era in questa cella. Buio era il mio cuore. No, non sapevo ancora di poter soffrir tanto e non morire…”. Così si presenta l’anonimo protagonista nella prima scena dell’opera più sofferta di Dallapiccola: Il prigioniero. In questo lavoro, Dallapiccola si confronta con gli orrori della Storia, spinto dall’urgenza di narrare il proprio tempo. Risultato del montaggio di più fonti letterarie - La torture par l’espérance di Villiers de l’Isle-Adam, La légende d’Ulenspiegel di Charles de Coster e La rose de l’infante di Victor Hugo – il libretto dell’opera, realizzato dallo stesso autore, è strutturato come un atto unico, suddiviso in tre scene, anticipato da un Prologo. È l'estate del 1939 quando Luigi Dallapiccola s'imbatte a Parigi nel racconto La torture par l'espérance, uno dei Contes cruels di Auguste de Villiers de l'Isle Adam: ne resta impressionato e, nel viaggio di ritorno, comincia a riflettere sul suggerimento ricevuto dalla moglie Laura di ricavarne un lavoro teatrale. Lo scoppio della guerra, poco dopo, sembra rendere reale l'atmosfera oppressiva della storia, in cui la speranza di fuga di un prigioniero è un altro strumento di tortura nelle mani del suo carceriere. Il libretto è pronto alla fine del 1943, e Dallapiccola inizia a lavorare alla musica nel 1944, quando avviene la liberazione di Firenze, e la nascita di sua figlia Anna Libera. “Erano gli anni - scrive Dallapiccola - in cui l'Europa, da tempo circondata da filo spinato, con ritmo ognora crescente si riduceva a un ammasso di rovine”. Terminata il 3 maggio 1948 (Luigi Dallapiccola è autore della musica e del libretto), viene eseguita per la prima volta al XIII Festival del Maggio Musicale Fiorentino, al Teatro Comunale il 20 maggio 1950, e subito il pubblico si divise in aspre polemiche sul significato del libretto trasposto alla situazione politica del tempo. Per descrivere l’abisso della sofferenza fisica e psichica del protagonista, un uomo senza nome condannato al rogo all’epoca di Filippo II di Spagna, Dallapiccola impiega la tecnica dodecafonica per realizzare alcune serie dai significati profondi - “della preghiera”, “della speranza”, “della libertà” -  riferiti a momenti chiave della vicenda. Nel piano di persecuzione diabolica del prigioniero, l’ultima tortura è infatti rappresentata dalla speranza della fuga, che si conclude tragicamente tra le braccia del Grande Inquisitore. La libertà non esiste, è solo un’illusione che rimane sospesa nell’interrogativo finale intonato dal prigioniero condotto al rogo.

Quattro Pezzi sacri, per coro e orchestra
Composti separatamente negli ultimi anni di carriera e per organici corali differenti, i brani sono quattro preghiere, quattro meditazioni sul senso della morte da parte del compositore che, alla fine dei suoi anni, si sente chiamato a fare i conti con il proprio sentimento religioso. Tre preghiere su quattro sono dedicate alla Madonna - Ave Maria, Stabat Mater, Laudi alla Vergine Maria - una è rivolta a Dio, Te Deum. Affidare la propria anima a Maria è probabilmente il gesto più naturale per Verdi; la figura femminile ha sempre rappresentato per lui la redenzione, la purezza, l’aspetto migliore della varia umanità rappresentata in tanti anni sulla scena. Nello Stabat Mater, ad esempio, Maria è vista da Verdi innanzitutto come mater amorosa e dolorosa, una donna che piange ai piedi del figlio in croce e condivide con lui sofferenze tutte terrene. Nella composizione emerge un’umanità ritratta nel suo terrore per l’ignoto che sta al di là della morte; la stessa immagine della gloria in cielo è accompagnata sì da un’apoteosi sonora, come tradizione comanda, ma con una riserva finale, un’ultima dissonanza che pare disperdersi nel vuoto. Per la religiosità laica di Verdi sembra non esserci spazio per la speranza. Anche nell’ultimo dei brani, il Te Deum, domina lo stesso clima pessimistico: alla domanda del credente che affida la sua anima a Dio sembra non giungere risposta affermativa. Per Verdi l’uomo si riconferma solo davanti all’eternità e al silenzio del cosmo.

Programma
Luigi Dallapiccola - Il Prigioniero
Giuseppe Verdi - Quattro pezzi sacri
•       Ave Maria  - Stabat Mater  - Laudi alla Vergine Maria – Te Deum

Artisti
Direttore e concertatore Michael Boder
Regia e coreografia Virgilio Sieni
Assistente regia João Carvalho Aboim
Assistente alla coreografia Giulia Mureddu
Scenografo e costumista Giulia Bonaldi
Luci Mattia Bagnoli
Corpo di ballo Compagnia Virgilio Sieni
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino

Il Prigioniero Levent Bakirci - La madre Anna Maria Chiuri - Il Carceriere/Il Grande Inquisitore John Daszak - Primo sacerdote Antonio Garés - Secondo sacerdote Adriano Gramigni
Danzatori della Compagnia Virgilio Sieni: Jari Boldrini, Ramona Caia, Gaia Centamore, Nicola Simone Cisternino, Irene De Santis, Lorenzo De Simone, Alessandra Fortuna, Maurizio Giunti, Lucia Guarino, Giulia Mureddu, Maya Oliva, Tamara Orto, Andrea Palumbo, Asia Pucci, Sara Sguotti.
Soprano solista nel Te Deum Thalida Marina Fogarasi

 

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