Roma, stadio Olimpico, finale di Coppa Italia. Fiorentina e Napoli si giocano il trofeo. Vincono gli azzurri dopo una gara riaperta da Vargas (che nel primo tempo aveva accorciato le distanze) ma chiusa nei minuti di recupero dal 3 a 1 di Mertens. L'incontro è stato emozionante, a fasi alterne ognuna delle due compagini è stata in bilico, non sono mancate le occasioni da una parte e dall'altra, ma ciò che è successo fuori dal campo si è conquistato, ahimè, ben più spazio e merita più ampie riflessioni.
La cronaca.
Nel tardo pomeriggio si sparge la voce del ferimento da colpi di pistola di tre tifosi napoletani. Uno risulta grave e fin da subito le prime notizie escludono che il braccio armato sia riconducibile ai supporter della Fiorentina (in seguito si saprà che a sparare sarebbe stato un ultrà della Roma, Daniele De Santis, immediatamente sottoposto a provvedimento restrittivo).
Intanto l'Olimpico si riempie, ma anziché iniziare la festa di fiorentini e napoletani, sale la tensione. Le voci si rincorrono, informazioni approssimative vengono prima confermate e poi smentite, radio e TV non parlano delle formazioni che Montella e Benitez hanno scelto, ma di cronaca nera e bollettini medici. Siamo vicini al fischio d'inizio, in tribuna VIP siedono le autorità del Calcio e dello Stato: il Presidente della FIGC Abete, il Presidente della Lega Calcio Beretta, il Presidente del Senato Grasso, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, nonché alti rappresentanti delle Forze dell'Ordine. Siamo a pochi minuti dalle 21, a centrocampo inizia un conciliabolo tra i dirigenti delle due squadre, Lega Calcio e Forze dell'Ordine, poi il giocatore del Napoli Hamsik va sotto la curva Nord occupata dai tifosi partenopei e si mette a dialogare con dei loschi figuri prima saliti sulle vetrate che separano il pubblico dal campo, poi scesi sullo stesso. Quello che si agita di più è Gennaro De Tommaso, soprannominato Genny 'a carogna, capo ultrà del Napoli figlio di Ciro De Tommaso ritenuto affiliato al clan della camorra del Rione Sanità dei Misso. Gennariello indossa una maglietta con scritto “Speziale libero”: Speziale (condannato in via definitiva) è colui che uccise il poliziotto Filippo Raciti in occasione dei disordini a fine della partita Catania – Palermo del 2 febbraio 2007. Piovono in campo fumogeni e bombe carta, un vigile del fuoco resta ferito, sono le 21 passate: non si gioca. Ripartono le consultazioni dei rappresentanti delle due squadre, del “Calcio” e forze dell'ordine. Il “plotone” ritorna sotto la curva Nord a parlare con Genny 'a carogna. Sono quasi le 21 e 30: Gennaro fa ampi gesti, dice che si può giocare la partita che inizierà con 45 minuti di ritardo e non prima che mezzo stadio abbia fischiato l'Inno Italiano.
Ieri, dunque, il Calcio e lo Stato hanno preso ordini dal figlio di un camorrista che indossava una maglia inneggiante ad un assassino. Che figura hanno fatto con i milioni di italiani seduti increduli davanti alla TV? Chi sono? Dei degni rappresentanti di uno Sport e di un Paese, degli incapaci o dei burattini al comando dei criminali? Non sta a noi stabilirlo, ma di sicuro, il Calcio e lo Stato hanno (ri)perso la faccia.
Tranquilli, la ritroveranno. I Mondiali in Brasile sono alle porte e ogni mese per due settimane faremo la spesa a ufo.
Donato Mongatti
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