Lo stato di insolvenza in cui finì l'ex Credito cooperativo fiorentino, per 20 anni presieduto dal senatore Denis Verdini, fino al suo commissariamento nel luglio 2010, è "ascrivibile a condotte gestionali abnormi ed irregolari, riconducibili al management", della banca "e non certo attribuibili a chi era intervenuto per porre fine e rimedio alle stesse". Lo scrivono, nelle motivazioni della sentenza, i giudici del tribunale di Firenze che il 2 marzo scorso hanno condannato Verdini (9 anni) e altri 33 imputati (pene da 1 anno e 6 mesi a sei anni). Una risposta alle difese di alcuni imputati, in particolare del senatore di Ala, che avevano puntato il dito contro i commissari e la loro gestione.
La gestione del Credito cooperativo fiorentino (Ccf) è "risultata imprudente quanto ambiziosa, seguita dalla consapevolezza, maturata dapprima dal senatore Verdini e, subito dopo, quanto meno a partire dal settembre 2008 anche dal management, di un imminente disastro, ormai inevitabile e reso poi palese dall'ispezione della Banca d'Italia del 2010". Quella decisa dal tribunale di Firenze per il senatore di Ala Denis Verdini non poteva prescindere, "nell'individuazione di una pena congrua ed adeguata al fatto concreto, dalle dimensioni della vicenda, dalla gravità enorme del fatto ricostruito, dalla patologia dei finanziamenti concessi, dall'indifferenza verso la vigilanza e dallo spregio delle regole". Per quanto riguarda il Btp (di Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei), per i giudici "un gruppo", il tentativo di ristrutturare il debito fu "un'operazione davvero assurda". (ANSA)
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