Cos'è la vita? Una continua ricerca di qualcosa che le dia senso! C'è chi la vede scorrere nell'inanità e chi la plasma nell'impegno. Ma molti, pur impegnati, la trascorrono nella vanità e la vacuità di una insulsa quotidianità. La vanità e la vacuità di una vita inutile, fatta solo di esteriorità.
Alla continua ricerca della “grande bellezza” (da cui prende nome la pellicola di Paolo Sorrentino), si è perso un valido scrittore e giornalista, Jep Gambardella (Toni Servillo) che dopo avere steso il suo primo e ultimo libro (L'apparato umano), per trarre ispirazione si è “rinchiuso” nel mondo “en plein air” della bella esistenza (dolce vita!) romana dei primi anni dieci del terzo millennio dell'era volgare (che più volgare non sembra essere mai stata, o forse sì; d'altronde già Roma è di suo una città nobile e volgare, piena di contraddizioni, tra papi e puttane, chiese e casini...).
Richiami alla Dolce vita e citazioni felliniane si sprecano, ricontestualizzate, attualizzate. Non disturbano, anzi, ma nobilitano la pellicola per il tributo volontario a chi fu un grande, senza per questo perdere la sua personalità. Non si facciano però paragoni: i capolavori rimangono tali, seppure spesso attorniati (o proprio per questo) dall'alone della visionarietà, elemento tipico della cinematografia del grande regista riminese.
La falsità dei sentimenti è sottolineata dal freddo cerimoniale autoimpostosi dal protagonista alle funzioni funebri; ma una lacrima sul viso tradisce la sua umanità. Irrompe nella scena l'imprevisto. L'umano, il troppo umano che si nasconde nelle pieghe di ognuno che, per quanto stirate, conservano un so che di sgualcito, a sottolineare come sia impossibile cancellare del tutto la scintilla di divino che ci rende vivi, e per certi versi, veri!
Vi sono tutti gli elementi della drammaturgia classica: le pulsioni di vita (relazioni tanto alla luce del sole, quanto a quelle della luna) e di morte (decessi e funerali); intellettualismi sofistici e feste caleidoscopiche. Eros e thanatos; apollineo e dionisiaco.
Ma tutti, immersi nel vortice dell'esistenza, attendono quel “qualcosa” che dia senso alla propria vita e, nell'attesa di quella esteriore “grande bellezza”, che forse non troveranno mai, si consumano nella notte, come le falene in un fuoco, fatuo, in una interiore “grande bruttezza”...
Scritto da Ἀδάμας Mέλας (Adàmas Mèlas)
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