La vita, con le sue vicissitudini, i suoi dolori, le sue sofferenze, le sconfitte e le sorprese che ci riserva può travolgerci o farci rimanere sotto un cumulo di macerie, esanimi. Coloro che resistono ai vari terremoti personali si dividono in due categorie: i sopravvissuti e chi ce l’ha fatta. Paolo Sorrentino, senza ombra di dubbio, appartiene alla seconda categoria. Il regista napoletano, rimasto orfano a sedici anni, non ha avuto un’esistenza facile, da un giorno all’altro è passato da una dimensione familiare, tutta meridionale, piena di gioia, pranzi, cultura e ironia al dolore immenso per la perdita dei genitori in un freddo giorno di inverno durante una vacanza a Roccaraso. Il racconto della vita del regista premio Oscar è narrato nel suo ultimo film “È stata la mano di Dio”, pellicola che ha in sé i germi dell’ossimoro, l’essenza della vita, fatta di risa, pianto, riflessioni, pace e conflitto. Già, perché senza quest’ultimo “non si progredisce”, ricorda il maestro Antonio Capuano nel travolgente dialogo con il giovane Fabietto alias Paolo Sorrentino. “Chi nun tene coraggio – continua Capuano - nun se cocca ch' 'e femmene belle” (“Chi non ha coraggio non va a letto con le belle donne”), e di coraggio Paolo ne ha da vendere, l’ha dimostrato con la risposta alla propria personale chiamata in un mondo che resiste e che spesso ci ostacola.
Nel titolo è chiaro il riferimento a Diego Armando Maradona, che, come ricorda lo stesso regista, “non è arrivato a Napoli, ma è apparso”, quasi una manifestazione divina. Il trascendente si fa palese quando Fabietto, dopo aver ricevuto in dono per il suo compleanno l’abbonamento del Napoli in Curva B, sussurra: “Grazie Dio”, il padre lo guarda e sorride: “Devi ringraziare me, non Dio”.
Al fuoriclasse argentino, Paolo Sorrentino è legato a doppio a filo. Grazie al calciatore più forte di tutti i tempi il giovane Paolo non seguì la mamma e il papà nella località sciistica abruzzese e scampò alla tragedia del monossido di carbonio. Le prodezze del Pibe valevano infinitamente di più di un po’ di neve del Piano dell’Aremogna, così “la mano di Dio” che ha segnato il gol che aprì le danze della partita Argentina-Inghilterra del mondiale ’86, poi vinto dalla squadra sudamericana, è la stessa che ha salvato Paolo da una morte certa. Nel film è zio Alfredo, avvocato e uomo di cultura, a tracciare il parallelismo. Maradona, secondo l’elegante difensore, ha dapprima punito l’arroganza capitalista della Perfida Albione per la guerra delle Malvinas, poi, come un angelo custode, ha tratto in salvo il giovane tifoso dalla fornace ardente. La vita del regista cresciuto al Vomero si intreccia a quella del campione albiceleste nato povero alla periferia di Buenos Aires, entrambi ce l’hanno fatta, con la differenza però che Paolo non è rimasto impigliato tra le maglie del successo e, come già ci aveva comunicato ne “La grande bellezza”, ha capito l’importanza di non dimenticare da dove si proviene, diventando così una quercia con radici profonde, i cui rami frondosi arrivano ovunque, da Roma a Hollywood, da Dublino alle Alpi svizzere, ma la sua essenza resta sempre a Napoli, città ossimoro per eccellenza.
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