Un’irruzione nei locali della comunità ebraica di via Farini segnò, settantuno anni fa, il destino di molti ebrei fiorentini. Era l’alba del 6 novembre 1943 quando i nazi-fascisti decisero di colpire la comunità ebraica, circa trecento persone catturate e ammassate nella stazione di Santa Maria Novella, destinate a non tornare.
A far scattare la retata erano state le SS tedesche ma anche i militi italiani della Repubblica di Salò. Tre giorni dopo, il 9 novembre, i vagoni piombati partirono meta il campo di sterminio di Auschwitz, dove gli ebrei giunsero il 14 novembre: 193 prigionieri furono immediatamente uccisi nelle camere a gas. Nell’elenco dei deportati figuravano anche otto bambini nati dopo il 1930 e 30 anziani, nati prima del 1884. La più giovane era Lia Vitale, nata nel 1942, la più anziana Fanny Tedesco ed aveva 93 anni.
Ieri mattina il ricordo del 71° anniversario della deportazione al binario 16 della stazione di Santa Maria Novella con una cerimonia commemorativa alla presenza, tra gli altri, del sindaco Dario Nardella, dell’assessore al welfare Sara Funaro, del rabbino Joseph Levi, della presidente della comunità ebraica fiorentina Sara Cividalli e della senatrice Rosa Maria Di Giorgi. E c’erano, soprattutto, gli studenti della scuola secondaria di primo grado Spinelli di Scandicci che hanno letto alcune poesie sulla Shoa.
«Questo anniversario è sempre stato molto sentito dalla nostra città grazie anche alla comunità ebraica fiorentina – ha sottolineato nel suo intervento Nardella – è un altro segno di quanto Firenze viva la sua identità di città di pace, della memoria, della Liberazione. Ma non basta solo ricordare, bisogna agire. Un gesto concreto è quello di essere riusciti ad avere la possibilità di ospitare a Firenze il Memoriale italiano del Block 21 di Auschwitz. Sarà sistemato negli spazi di Ex3, a Gavinana».
Il Memoriale è chiuso al pubblico dal luglio 2011 per decisione unilaterale della direzione del museo, inaccessibile persino agli studiosi. La direzione del museo, sostenuta dal governo polacco e dal consiglio internazionale di Auschwitz, ha ritenuto che non corrispondesse più alle linee guida emanate dal museo negli ultimi anni, che richiedono allestimenti di taglio pedagogico-illustrativo, mentre quella italiana è un’opera che, ripromettendosi di comunicare un orrore non altrimenti descrivibile, parla appunto con il linguaggio dell’arte.
«Il Memoriale sarà un ulteriore strumento per lavorare con i nostri giovani – ha proseguito il sindaco – attraverso la memoria e l’educazione si può continuare a far crescere il seme del rispetto e del dialogo. Quando non avremo più testimoni diretti della Shoa la più grande testimonianza sarà quella del racconto di chi, per legami di sangue o di amicizia, ha ascoltato le efferatezze compiute in quel periodo. Per la memoria la cultura è il più grande veicolo».
Nel 1931 vivevano a Firenze 2730 ebrei. Le leggi razziali e le persecuzioni della Shoa colpirono duramente la comunità: dopo la guerra rimasero in meno di 1200. La persecuzione si rivolse anche agli edifici con la distruzione della piccola sinagoga di via de’ Giudei e le gravi devastazione subite dal tempio.
La comunità ebraica (antichissima, risalente addirittura all’epoca romana) aveva dato molto a Firenze nel campo della cultura, dalle case editrici all’italianista Attilio Momigliano, passando per il giurista Federico Cammeo e lo psicoanalista Enzo Bonaventura. Ma anche prima gli ebrei fiorentini avevano partecipato attivamente al Risorgimento e alla prima guerra mondiale.
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