Pietro mi racconta la sua storia ed io fatico a crederci. Ma capisco subito che questa non solo è una storia tremendamente reale, ma è fondamentale raccontarla, affinché quello che è successo a questa famiglia non accada ancora.
Pietro è un uomo di 34 anni che nella battaglia contro il Coronavirus, si è ammalato, ha visto soffrire i propri genitori nel letto di un ospedale, ed ha perso la nonna.
Partiamo dall’inizio. E' il 3 marzo, quando la situazione Covid-19 in Italia, era ancora circoscritta a Lombardia e Veneto, ma già con una forte preoccupazione diffusa. Pietro inizia ad accusare un leggero stato influenzale, con una febbre che non supera mai i 37.5 ma che lo porta precauzionalmente all’autoisolamento, sotto consiglio anche del suo medico curante, con cui si confronta da subito.
Tre giorni dopo la nonna ed i suoi genitori cominciano ad avere sintomi influenzali. In questo caso però la situazione si complica molto più velocemente, ed in poche ore si manifestano reazioni ben peggiori, con febbre molto alta, dolori e problemi respiratori evidenti.
La mattina del 10 marzo la nonna di Pietro viene ricoverata in terapia intensiva all’ospedale di Careggi e successivamente, il 13, anche i suoi genitori vengono portati in terapia sub-intensiva, a Santa Maria Nuova. Tutti e tre risultano positivi al Coronavirus.
Nelle stesse ore le condizioni di Pietro non migliorano, anzi la febbre sale e sopraggiungono problemi respiratori, “avevo il fiato corto” mi dice.
A questo punto visto l’aggravarsi del suo stato generale, dopo essersi confrontato con il medico curante, chiama il 118. “Parlo con il medico di turno che mi dice che la situazione negli ospedali proprio in quelle ore sta peggiorando, che le mie condizioni non erano ancora gravi. Quindi di rimanere a casa e richiamare solo in caso di peggioramento. A quel punto, mi metto in contatto anche con i numeri d’emergenza, segnalando con insistenza la presenza evidente di sintomi, aggravati dalla carenza respiratoria e che avevo avuto stretti contatti con tre positivi. Vengo messo in lista d’attesa per un tampone, è il 13 marzo.”
Il giorno seguente, come da iter, parte l’indagine epidemiologica sul padre, così vengono ricostruiti tutti i contatti avuti dall’uomo con terze persone. “Io ovviamente rientravo tra quelle - spiega Pietro - e vengo richiamato dalla Asl che mi mette in quarantena dall’ultimo giorno in cui l’avevo visto, che era proprio il 3 marzo.”
Di fatto viene chiamato il 14 marzo per farsi dire di restare in quarantena fino al 17 dello stesso mese. Poi libero di girare ovunque, nonostante ancora nessun tampone gli sia stato fatto.
Ecco ma tu come stavi fisicamente il 17 marzo, giorno di fine quarantena?
“Io avevo ancora la febbre e continuavo ad avere la febbre con chiari problemi respiratori.”
Dieci giorni dopo il ricovero, siamo al 20 marzo, purtroppo le condizioni della nonna peggiorano sensibilmente, e non supera la notte. I genitori, invece, riescono ad uscire dalla terapia sub-intensiva e cominciano la fase di recupero.
Siamo al 23 marzo, quando Pietro comincia a recuperare fisicamente ed è ancora con più forza che, insieme al medico curante, insiste ancora con i mezzi a disposizione per segnalare l’urgenza del tampone, perchè ricordiamo dopo quasi un mese dal primo sintomo e con la famiglia tutta ricoverata, ancora Pietro non sa se è positivo o no al Covid19, e quindi non sa se può essere o no un potenziale contagiatore.
Si arriva ai primi di aprile nel silenzio assordante e confusionario dell’attesa. “Il 3 aprile sto bene già da una decina di giorni. e autonomamente decido di fare un test sierologico, proprio negli ultimi giorni prima che la Regione li bloccasse. Dal risultato viene fuori che sono presenti sia igg che igm, quindi ero nel momento preciso tra la malattia in corso e la guarigione, quindi assolutamente portatore sano del virus.”
Oggi siamo il 22 aprile e nessuno ancora lo ha mai chiamato per fare il tampone.
Gli chiedo perchè non si è mai presentato in ospedale, neanche nelle fasi peggiori della malattia e della paura, mi ha risposto: “Per senso civico. Ho rispettato il protocollo e sono rimasto da solo.”
Pietro continua il suo isolamento, questa volta oltretutto autonomo, visto che la quarantena è finita da un mese e per la nostra Sanità, Pietro è una persona sana.
Ora mi chiedo: ma una persona che ha sintomi evidenti, con i genitori gravi ed un decesso, come è possibile che non sia stato sottoposto a tampone, né subito, né durante, né dopo un mese?
Ma soprattutto, se la quarantena è iniziata il 3 marzo come è possibile che il test sierologico fatto un mese dopo, indichi ancora la presenza del virus?
Allora non bastano 15 giorni per non contagiare più nessuno? Si è portatori sani del Coronavirus anche dopo?
Mancano i tamponi?
La Regione Toscana latita nel buio dell’incertezza e dell’approssimazione, mentre la Asl non tiene più conto delle richieste e rimanda tutto al non si sa quando. Nel frattempo, che ognuno si prende il proprio tempo, la gente si ammala e non lo sa, mentre quelli che lo sanno, non sanno di essere, anche dopo la “finta guarigione”, pericolosi e contagiosi per il mondo dei “negativi”.
Costanza Castiglioni
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