Per noi amici era semplicemente il Profeta, Hasan Al Nassar, poeta iracheno spentosi la notte di Natale a Firenze nella clinica Villa Falciani. Aveva 63 anni, da 35 residente a Firenze. Fuggito dal regime di Saddam, sulle rive dell'Arno aveva trovato la sua casa. Gli piaceva, alla faccia della modestia, paragonarsi a Dante, entrambi poeti dell'esilio. Dopo una laurea in letteratura araba a Firenze aveva rifiutato l'incarico di assistente all'Università Orientale di Napoli. Troppo libero per inquadrarsi nel mondo accademico.
Chi scrive ha condiviso con lui innumeroveli serate bagnate da vino e canzoni tra la storica enoteca Zanobini in via Sant'Antonino, il Baraccio (Bar dei Cavalieri) in via San Gallo e la trattoria da Giorgio in via Palazzuolo.
In media ci radunavamo una volta al mese in una sorta di pellegrinaggio tra i vinai di Firenze per poi concludere la nostra serata da Giorgio. Il nostro appuntamento era stato ribattezzato "Penultima cena" a significare che ce ne sarebbe stato sempre un altro. Una serata in cui ognuno di noi lasciava i suoi problemi a casa e viveva una dimensione quasi onirica risucchiato da un vortice frenetico di risa e battute, canzoni e alcol.
Con Teresa, la musa bella e ribelle, con Giorgio, l'anima grande che ci sopportava e supportava, con Alfredo, il cantante, re di piazza Savonarola, con il Maestro Riondino, fratello del più famoso David che Hasan chiamava filosofo, con Francesco e Cristiano del Baraccio ai quali il poeta chiedeva l'impossibile (birra e gin contemporaneamente), con Umbi, il vulcanico geologo, con Bea e Adriano, i trippai di San Lorenzo. A volte si univa a noi la bella professoressina Annaclaudia, così il guascone iracheno poteva dividersi tra lei e Teresa in lunghi e sperticati elogi.
Lui ed io ci prendevamo sempre in giro a colpi di citazioni di Guccini, De Gregori e De Andrè che parafrasava quando riferendosi a me cantava "non giocare con i meridionali nel bosco". In tutta risposta replicavo con un "classico furbo mediorientale". Ora i suoi "terrone, arabo" mi risuonano nelle orecchie e mi strappano un sorriso. Ripenso alla recensione, forse troppo corta, che scrissi al suo "Labirinto" e che ripubblico in calce. E Adesso ci unisce per sempre.
L'ultima volta ci siamo sentiti a luglio dall'Irlanda, Hasan era da Zanobini con il solito "rosso routine dentro al bicchiere", mi salutò allegramente e ci promettemmo che ci saremmo rivisti a settembre. Così non è stato. Durante la telefonata gli ricordai di quando iniziò di nuovo a bere dopo quasi due anni di astinenza. Si trovava in Sicilia a un festival di poesia e una poetessa stappò per lui una bottiglia di Corvo di Salaparuta, debole come tutti gli uomini cedette alla sindrome di Adamo e da quel momento abbandonò i vari crodino e sanbitter.
"E la vita non è comoda per nessuno, quando vuoi gustare fino in fondo tutto il suo profumo. Devi rischiare la notte, il vino e la malinconia, la solitudine e le valigie di un amore che vola via". Hai rischiato. Hai vissuto. Ciao Amico caro.
Leggendo le pagine che seguono ho come la sensazione di avere l'autore davanti a me. Hasan dagli 'occhi lupeschi', liquidi, mediorientali. Basta guardarlo per capire tutto ciò che si porta dentro. L'esilio, il dolore, la guerra. L'Iraq. Dietro il sorriso affabile, l'ironia affogata in qualche bicchiere di rosso, non è difficile scorgere la sofferenza e la solitudine che emergono in maniera dirompente nei suoi toccanti versi.
"Il mio è un cuore solo
nella sua solitudine,
è una spiaggia della malinconia
e delle vedove",
struggenti parole scritte 'Nel mausoleo'.
'Il labirinto', il titolo della raccolta, è la sua vita, di cui è
prigioniero.
"I poeti non hanno terra, né patria e casa
i poeti possiedono lucchetti con chiavi perdute".
Hasan Atiya Al Nassar, figlio di Ur, perla della Mesopotamia,
ha nel cuore le sue radici. Ricorda la sua terra piena di dolore
e guerra, dove arrivano uomini dall'Oceano Pacifico, soldati
tristi, che
"si lavano la notte con le lacrime
prima del sorgere del sole".
La terra di Adamo ed Eva dove fioriscono grandi civiltà e poi
puntuale arriva la decadenza, che porta con sé angoscia e
disperazione.
"Ur, - scrive il poeta - chi non ti ha conosciuto,
chi non ha conosciuto Abramo, Gilgamesh,
Hasan al Nassar
non può capire cosa sia la sofferenza"
(da Il Labirinto, Associazione Culturale 'La Penultima' 2013)
La pirografia disegnata da Giorgio Boschiero
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