Dopo il successo dello scorso anno di “Ubu Roi”, torna sul palcoscenico del Teatro di Rifredi di Firenze, per tre sole serate dal 26 al 28 ottobre, Roberto Latini con uno dei più antichi e importanti testi di tutte le letterature, “Cantico dei Cantici”, presentato in prima nazionale la scorsa estate al Festival Inequilibrio di Castiglioncello.
Pervaso di dolcezza e accudimento, di profumi e immaginazioni, Il “Cantico dei Cantici” è un inno alla bellezza, l’ode più ardente e luminosa all’amore che sia stata mai scritta. È il Canto per eccellenza, allegoria della passione amorosa che tocca le vette del sublime, l’unione perfetta tra l’uomo e il divino. Latini non ha tradotto alla lettera le parole, sebbene abbia cercato di rimanervi il più fedele possibile, ha tradotto alla lettera la sensazione, il sentimento che queste pagine procurano. Ha assecondato il tempo, il tempo del respiro, della voce e le sue temperature.
Quando il pubblico entra in sala trova Latini sdraiato su una panchina, mezzo addormentato; cala il silenzio a segnare l’inizio e quella figura si porta alla luce, rivelando un DJ queer. Labbra rosse, parrucca arruffata, occhiali neri, cuffie sulle orecchie e sintonizzate sui Placebo, il DJ raggiunge una postazione radiofonica da cui trasmettere “On Air”, come segnala la scritta luminosa che gli campeggia davanti. La musica si affievolisce, inizia il racconto e le parole, mai trattenute, si impregnano di melodia, scandiscono il ritmo, tutto è ora dolcezza e rarefazione.
La sacralità del Cantico pronunciata da Latini, su una notazione di pianoforte classico intervallata da incursioni pop, è la sensualità di una voce profonda, che scandisce i versi di un amore biblico infondendo loro la verità della carne, la sensualità dell’immaginazione. “Non guardarmi, non guardarmi” ripete spesso.
Nel finale, come a ricordarci che per rendere sacro l’amore assoluto – per un altro essere umano o per il divino – ci vuole uno sforzo e una totale abnegazione, Roberto Latini, nella sua fragile umanità, rinuncia agli artifici per offrirsi, stanco e sudato, a un ultimo crescendo di voce e canto. “Guardami”. Ora.
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