L'Università di Firenze entra nella più grande rete di ricerca per lo studio delle origini genetiche dell'Alzheimer. Il gruppo di ricerca dell'Ateneo fiorentino e della Clinica Neurologica della Azienda ospedaliera-universitaria Careggi, guidato dal direttore del Dipartimento di Scienze neurologiche e psichiatriche Sandro Sorbi e dalla ricercatrice Benedetta Nacmias partecipa infatti all'avvio del Progetto internazionale sulla Genomica della Malattia di Alzheimer (IGAP). Il Progetto, spiega una nota, riunisce per la prima volta tutti i migliori gruppi del mondo che si occupano della genetica della malattia e permetterà di creare un database complessivo di oltre 40.000 individui sani e malati. Una condivisione senza precedenti dei dati, che potranno essere ulteriormente ampliati, accrescendo quindi la capacità di individuare e mappare i geni che contribuiscono a determinare la malattia di Alzheimer. Il network è composto dal Consorzio europeo coordinato dall'Istituto Pasteur di Lille e l'Università di Lille (Francia), a cui aderiscono i ricercatori dell'Università di Firenze, e da altri tre gruppi guidati rispettivamente dalla Scuola di Medicina dell'Università di Pennsylvania, dall'Università di Boston (USA) e dall'Università di Cardiff (Regno Unito). L'identificazione di geni che contribuiscono al rischio di sviluppare l'Alzheimer e che ne influenzano la progressione aiuterà a capire le cause della malattia, a individuare proteine e nuovi target per lo sviluppo di farmaci, oltre a fornire le indicazioni per le metodologie per individuare i soggetti a più alto rischio di malattia quando diventeranno disponibili misure preventive. «La malattia di Alzheimer colpisce in modo conclamato circa il 5 % delle persone oltre i 60 anni. In Italia si stimano circa 600.000 ammalati; sono 35,6 milioni le persone affette da demenza in tutto il mondo - ha spiegato Sandro Sorbi - I farmaci disponibili influenzano solo marginalmente i sintomi, rendendo la malattia di Alzheimer non trattabile efficacemente. Il costante aumento della popolazione in età senile - ha aggiunto Benedetta Nacmias, ricercatrice di Neurologia - sta rendendo questa malattia una vera e propria »epidemia silente« con elevati costi sociali ed economici».
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