Per il gruppo farmaceutico Menarini arrivano le motivazioni della sentenza con cui il 9 settembre scorso il tribunale di Firenze ha condannato a dieci anni e sei mesi a Lucia Aleotti e a 7 anni e mezzo il fratello Alberto Giovanni, rispettivamente presidente e vicepresidente del gruppo. Nell'attività, scrivono i giudici, c'è stata "all''estero un'articolazione aziendale occulta": un "sistema governato" dal fondatore Alberto Aleotti, morto nel 2014, e poi partecipato dai figli Alberto Giovanni e Lucia per mantenerne la "riservatezza" che solo un ambito "familiare" poteva garantire. Riciclaggio e vari reati fiscali, legati proprio ai capitali accumulati all'estero nel corso degli anni, e in gran parte scudati, dall'allora patron, le accuse per le quali il giudice decise anche la confisca di oltre un miliardo di euro, e l'interdizione per sempre i due fratelli dai pubblici uffici, escludendo per loro l'accusa di truffa. L'inchiesta partì dalla convinzione dell'accusa che negli anni '80, e fino al 2010, gli Aleotti avessero fatto profitti gonfiando i prezzi dei farmaci a spese dei pazienti, che pagavano di tasca propria più del dovuto, e del Sistema sanitario nazionale, quando si trattava di medicine rimborsabili. Il tutto cercando anche di esercitare pressioni politiche.
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