Un Gattopardo in salsa toscana. Le parole immortali di Tomasi di Lampedusa, che descrissero in modo sontuoso il carattere dei siciliani, potrebbero oggi essere usati per noi toscani. Che alle elezioni europee diamo fiducia alla Lega, chiedendo porti chiusi e maggiore sicurezza, ma poi ci affidiamo all'usato sicuro targato Pd. I motivi di tale scelta, confermata ieri dai ballottaggio (15 a 3 l'umiliante risultato) sono semplici: a destra manca una classe dirigente che, sul territorio, sappia lavorare ed essere credibile. Un sindaco lo si sceglie per motivi pratici, amministrativi e, solo raramente, per ideologia. Si riversa fiducia in una persona in grado di coprire rapidamente la buca della strada principale. O di realizzare una tramvia. Anche perché tutti sanno che l'invasione degli immigrati africani o il contenimento del suddetto fenomeno è colpa o merito dell'esecutivo nazionale. Poco può fare un primo cittadino se il premier fa entrare in Italia 700mila persone in meno di tre anni.
Deve accoglierle, cercare di farle convivere con i residenti che pagano le tasse e li mantengono a non fare un bel niente e cercare di spiegare ai contribuenti che quella è la strada maestra verso Damasco. La vera sfida, quella del prossimo anno, quando verrà scelto il governatore della Toscana, appare quanto mai incerta. Perché da una parte c'è un partito agonizzante, un'autentica bad company: il Pd. Che a livello nazionale prende schiaffi ovunque (ma non qui). Diviso su tutto in mille correnti, terrorizzato da cosa potrà venir fuori (molto, moltissimo secondo le indiscrezioni) dall'inchiesta sul Csm. Un movimento che ritiene la Toscana ancora una “terra rossa”, nonostante governi solo in 4 capoluoghi di provincia su 11. E che si esalta con poco, come quei bimbi abituati a perdere sempre, anche a ramino, ma che per una volta hanno le carte buone in mano. Dall'altra un centro destra dominante a livello nazione, forte di un consenso basato soprattutto sul no secco e intransigente al multiculturalismo. Che però nelle nostre terre ha una classe dirigente mediocre.
Formata da persone politicamente incapaci. Sia chiaro, ci sono delle eccezioni. Ma sono rare e nascoste dalla cappa di modestia generale. Il vero politico lo capisci nel momento della sconfitta e nella capacità di analisi. Chi parla di “voto pilotato”, di “persone che si schierano per interessi propri e per malaffari” racconta una parte piccolissima della realtà. Negando errori ed orrori compiuti da politici che fino al giorno prima si occupavano di finanza o assicurazioni e che il giorno dopo pensano di essere la reincarnazione di Aldo Moro. Il Pd sa bene che perdere la Toscana il prossimo anno significherebbe diventare un movimento insignificante, almeno per i successivi 20 anni. Schiererà le truppe cammellate ma anche tante competenze. Già i nomi che escono, Banafè, Gelli e Giani, sono cavalli da Gran Prix.
Il centro destra, se vorrà vincere, dovrà ripartire dai cosmici errori commessi a Firenze e decidere il candidato governatore già a ottobre. In modo da anticipare la campagna elettorale già da novembre. Sette mesi di incessante tam tam su giornali e, soprattutto, social network. Perché, come diceva Shel Shapiro con i suoi Rokes nel 1966 “Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere”.
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