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analisi

L’effetto sui mercati del referendum costituzionale

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Immagine articolo - ilsitodiFirenze.it

Il 4 Dicembre del 2016, sarà ricordata come una delle giornate storiche della Repubblica italiana. L’esito del terzo referendum costituzionale, che ha visto la schiacciante vittoria del No, ha decretato di fatto le dimissioni del premier Renzi e la caduta del suo esecutivo dopo ben 1000 giorni di governo. Tra le mille interpretazioni date dagli analisti alla bocciatura del ‘Renzismo’, quella più rilevante riguarda la scollatura generazionale emersa dalle statistiche di voto, soprattutto dalla Toscana in giù. La fascia di età compresa tra i 18 e i 35 anni, ovvero la generazione più colpita dalla recessione e dalla disoccupazione, si è espressa contro l’establishment, manifestando il proprio malessere e il desiderio di cambiare.

 

La Brexit, la vittoria alle Presidenziali USA del magnate Trump e il No al Referendum costituzionale sono dei segnali chiari di un cambiamento globale e di una sorta di rivolta della gente comune e della classe media nei confronti della politica economica attuata dai paesi sviluppati nell’era post recessiva. La situazione stagnante dell’economia, con la crescita della disoccupazione e il calo del reddito pro-capite, hanno condotto le masse ad esprimere la loro disapprovazione alle politiche di austerity imposte dalle BCE, che hanno acuito la morsa già stringente sulle famiglie europee.

 

Gli analisti si aspettavano una caduta verticale dell’indice FtseMib dopo il successo del no al referendum costituzionale, ma il terremoto previsto non si è verificato. Nonostante la crescita dell’instabilità geopolitica, fattore notoriamente indigesto alla finanza, i mercati azionari hanno tenuto botta e proseguito la loro risalita. Tale tendenza non rappresenta una novità assoluta. Difatti dal 2009 in poi, nonostante il susseguirsi di eventi di natura politica negativi per gli investitori, i mercati internazionali sono sempre cresciuti in barba alla crescente opposizione nei confronti dell’establishment.

 

L’effetto sui mercati del contesto politico instabile ha influito sulla volatilità dei mercati, che ha intaccato maggiormente i titoli bancari ed in maniera marginale i governativi italiani. Gli investitori che invece hanno puntato su un portafoglio diversificato composto da prodotti e asset class differenti (materie prime, componente monetaria, azioni, obbligazioni e liquidità), hanno inizialmente limitato i danni e successivamente recuperato le perdite con lo scemare dell’effetto del voto referendario. Ancora una volta, in un periodo nel quale domina, la buona diversificazione e una costante ottimizzazione del portafoglio di investimento si sono confermate la migliore nonché unica strategia efficace per navigare in scenari diversi e investire in maniera intelligente.

 

Preoccupa invece lo stato di salute delle banche italiane, che negli ultimi mesi stanno palesando ulteriormente la loro fragilità. Le banche italiane hanno crediti in sofferenza per 200 miliardi lordi, svalutati a circa il 40%. Non solo hanno redditività al lumicino, ma in alcuni casi hanno anche un disperato bisogno di capitale fresco. La debolezza del sistema creditizio italiano è uno dei fattori che maggiormente preoccupa gli analisti e allo stesso tempo si interfaccia direttamente con gli anelli deboli del sistema Italia, ovvero la crescita economica troppo debole, la disoccupazione eccessiva e la produttività bassa, i fattori che hanno determinato il successo del No e la caduta del Renzismo.

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