Il servizio sullo spaccio di stupefacenti al Parco delle Cacine di Matteo Calì ha fatto vedere a tutti noi una squallida realtà. Droga a fiumi, giorno e notte. La droga è una piaga che tormenta la società moderna, ma ha origini lontane. Chi assume stupefacenti oggi lo fa consapevolmente. Dei danni all’organismo sappiamo tutto. Non è sempre stato così. Fino a due secoli fa, dell’ampia gamma di sostanze psicotrope reperibili attualmente non ne esisteva praticamente nessuna. Il termine “droga” - dall’olandese droog “secco” - era utilizzato per indicare i generi voluttuari essiccati (come le spezie o il tè) provenienti dalle colonie.
In seguito questa parola passò a designare tutti i farmaci e i medicinali. Con la Rivoluzione Industriale il mondo iniziò a cambiare a ritmi serrati e la chimica fece il suo ingresso sulla scena della farmacologia, per non uscirne più. Un giovane farmacista tedesco, riuscì a isolare la Morfina, il principale alcaloide dell’oppio, capace di trasformare il dolore in piacere. Fu una scoperta sensazionale. Per la prima volta nella storia dell’umanità il dolore poteva essere alleviato, se non eliminato, con dosi precise di una sostanza specifica.
La presunta sostanza miracolosa si impose in tutti i ceti sociali e in ogni angolo del globo. All’epoca, in qualsiasi drugstore degli Stati Uniti, erano disponibili succhi con effetto sedativo contenenti morfina, e bevande miste contenenti cocaina (come il Vin Mariani e la Coca-Cola) che venivano usate per combattere i disturbi dell’umore o come euforizzanti. Nel 1897 il chimico della Bayer Felix Hoffmann sintetizzò l’acido acetilsalicilico, estraendolo dalla corteccia di salice. Il preparato, lanciato con il nome di Aspirina, fu un successo clamoroso. Pochi giorni dopo il geniale ricercatore inventò un’altra sostanza destinata a diventare, invece, una piaga mondiale: la diacetilmorfina. Il derivato semisintetico della morfina, prima droga sintetica mai conosciuta, fu immesso sul mercato con il nome di Eroina, per “l’eroico” effetto sedativo e antinfiammatorio prodotto sui pazienti. Proposta quale rimedio contro l’emicrania e come sciroppo per la tosse per i bambini, veniva raccomandata anche per i neonati, in caso di disturbi del sonno e di coliche intestinali. La Germania divenne il “laboratorio del mondo”.
La situazione non cambiò nemmeno al termine della Prima Guerra Mondiale. La perdita dei possedimenti coloniali e le fortissime ristrettezze cui fu soggetto il popolo tedesco in virtù del Trattato di Versailles, indussero a cercare metodi artificiali di produzione di sostanze altrimenti irreperibili. Le profonde ferite fisiche e psichiche inferte dalla sconfitta, poi, portarono a un aumento della richiesta di droga. Gli abitanti di quello che era stato il temuto Secondo Reich avevano bisogno di lenire il dolore, rifugiandosi in mondi immaginari. Le società tedesche conquistarono così la leadership sul mercato mondiale, gli oppiacei, soprattutto, erano una specialità teutonica.
La neo-costituita Repubblica di Weimar detenne per tutta la sua travagliata durata il poco invidiabile primato per la produzione di morfina, eroina e cocaina. I colossi farmaceutici germanici controllavano, infatti, l’80% del mercato della cocaina, raffinando pressappoco l’intera produzione sudamericana di foglie di coca.
La crescita inarrestabile dell’inflazione produsse una sensazione di disperazione senza precedenti, attirando nel vortice tossico persone di ogni ceto sociale e di ogni età. L’idea che non ci sarebbe stato un domani corrose i valori etici sui quali era stato edificato il rigido tessuto sociale prussiano, a favore di un’effimera cultura del divertimento, finalizzata a colmare il vuoto esistenziale dei berlinesi.
Con l’avvento del nazismo le aspettative della popolazione tedesca furono radicalmente modificate ma l’ormai abituale propensione ad assumere sostanze chimiche rimase, spostandosi verso nuove sostanze in grado di soddisfare le mutate esigenze.
Il desiderio di fluttuare in dimensioni immaginarie fu surrogato da quello di essere perfettamente svegli ed efficienti, delle macchine instancabili, come richiesto dai nuovi ritmi di vita, divenuti in breve tempo frenetici.
In un periodo in cui ogni cosa parlava di rinnovamento, un efficace eccitante, era ciò che ci voleva. Le Olimpiadi di Berlino del 1936 avevano visto gli atleti statunitensi raggiungere risultati sbalorditivi, primo tra tutti il centometrista di colore Jesse Owens. Il segreto degli atleti d’oltreoceano non risiedeva tuttavia in una preparazione atletica migliore, bensì in una potente anfetamina: la Benzedrina. La società chimica Temmler investì tutte le risorse destinate alla ricerca in un prodotto che superasse quello americano. I chimici decisero di sviluppare un lavoro compiuto da alcuni ricercatori giapponesi che nel 1887 avevano sintetizzato per la prima volta una molecola iper stimolante denominata N-Metilanfetamina, perfezionandone le formula e trovando, nell’autunno del 1937, un nuovo metodo di sintesi.
La Temmler registro all’Ufficio Brevetti di Berlino la prima Metilanfetamina tedesca, la loro versione dei medicinali rivitalizzanti, che eclissava di gran lunga la Benzedrina americana. Nome commerciale: Pervitin.
Una sostanza in grado di superare rapidamente la barriera emato-encefalitica e di scatenare nel cervello umano un fuoco d’artificio neuronale. I sensi si acuiscono, l’energia aumenta, la paura e il senso di fatica svaniscono. Il nuovo ritrovato prometteva di essere un affare senza precedenti, così fu organizzata una campagna pubblicitaria come in Europa non se ne erano mai viste. Emulando il successo ottenuto dalla Coca-Cola Company grazie alla nuova strategia messa in atto, la capitale prussiana fu tappezzata di cartelli pubblicitari del Pervitin. Ma la Temmler non si fermò qui. Nella descrizione redatta dall’azienda produttrice, si legge: “la gioia di vivere infusa dal Pervitin ai soggetti rassegnati è uno dei doni più preziosi che si possano fare ai malati” “Con le compresse di Pervitin si può combattere anche la frigidità femminile”. Il foglietto illustrativo specificava inoltre che il farmaco era studiato per integrare, grazie all’energia sprigionata, nel processo lavorativo “simulatori, scansafatiche, guastafeste e brontoloni”.
Lo stimolante iniziò ad andare a ruba, diventando ben presto un normale compagno della giornata lavorativa del popolo tedesco. La presunta panacea prese piede in tutte le classi sociali, dagli operai alle catene di montaggio, ai burocrati costretti alla scrivania, alle segretarie che picchiettavano sulle macchine da scrivere a velocità mai viste. Furono immesse sul mercato persino deliziose praline di cioccolato ripiene di metanfetamina, “Le praline Hildebrand ti tirano sempre su di morale” recitava lo slogan. Le faccende domestiche non erano più un peso per la casalinga ariana. Il dogma nazionalsocialista richiedeva un continuo superamento dei limiti sotto tutti i profili, umani e territoriali. I ritmi serrati e lo spietato darwinismo sociale produssero un timore diffuso di non riuscire a tenere il passo, il Pervitin divenne così un genere di prima necessità. La Seconda Guerra mondiale porto la produzione ai massimi storici. Il futuro premio Nobel per la Letteratura, Herich Boll, in numerose lettere inviate dal fronte alla famiglia, chiedeva a caratteri cubitali il miracoloso rimedio. L’uso prolungato lo rese dipendente, e per tutta la vita riuscì a rinunciarvi, come molti altri sopravvissuti alla tragedia che ha cambiato il volto del mondo.
Paolo Sebastiani, avvocato (nessuno è perfetto!), accanito bibliofilo, ama la Storia che approfondisce con Winston, il suo bulldog inglese. Conduce Elzeviro, in onda in diretta il lunedì alle 21 su TVR Più (Canale 13 Digitale Terrestre)
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