Osservo le immagini dei paesi colpiti dal sisma. Polvere, lacrime, sangue e suolo. Ferisce il cuore vedere lo smarrimento dipinto sui volti. Un dolore immenso. Da questo oceano di dolore spuntano forti braccia che scavano, scavano, scavano. Senza sosta. Più guardo, più mi sento orgoglioso di essere italiano.
Tanti accenti diversi si uniscono in un coro di voci. Provate a chiudere gli occhi davanti ai filmati, e ascoltate. Non ci sono più differenze, fazioni, colori, dialetti, campanilismi a dividerci. Siamo un Popolo. Un gran bel Popolo. Ammirato in tutto il mondo.
Perché allora non possiamo esserlo sempre? Perché solo di fronte ad immani disastri andiamo oltre le divergenze?
Sono convinto che se ci liberassimo del fardello dell’essere (fuori dalle emergenze) un non-popolo, saremmo la locomotiva d’Europa.
Ritengo che l’origine del malessere che ci divide abbia una data precisa: 25 aprile 1945. Una frattura profonda, mai curata.
No, non è andata a quel modo, come si sono sforzati di raccontarci e imporre a tutti i costi, da settant’anni in qua. Il 25 aprile non è il giorno in cui gli italiani, dopo essersi liberati dall’invasione degli Hyksos, si riconciliarono con la loro Storia. La loro “vera” Storia. Ma il contrario. Il 25 aprile segna la data in cui si sancisce la mutilazione o la rimozione di un troncone di Storia e si fa un salto indietro su un vuoto al quale invece la stragrande maggioranza della Nazione aveva partecipato.
E’ il giorno in cui, a fondamento della vicenda nazionale a venire, si instaura un mito. Quello della Resistenza. La quale in realtà non fu quel moto popolare, inventato dal Vangelo apocrifo Un popolo alla Macchia di Luigi Longo, ma un fatto minoritario dove, alla nobiltà e alla onestà di intenti di alcuni, si associò l’azione calcolata di chi preparava il terreno e le condizioni politico-militari per la presa del potere, l’opportunismo di altri e la necessità di molti di evitare il coinvolgimento in una guerra sbagliata e già perduta.
Il giorno in cui gli italiani vengono divisi in eletti e reprobi. Ed è, soprattutto il giorno in cui fu offerta agli italiani, invece dell’opportunità di riconoscere, con un sano esame di coscienza, i loro errori, le colpe, le viltà (e quindi di dare veramente inizio ad una nuova storia), la scappatoia di scaricare su quella minoranza la responsabilità che spettava a tutta la Nazione. Quella data, se segna la fine della guerra contro la Germania nazista, non significa per noi italiani nemmeno la fine della guerra civile che aveva lacerato il Paese negli ultimi diciotto mesi. Questa continuerà per almeno altri due anni e serpeggerà, sottoterra, nel corpo della Nazione fino alla sanguinosa risorgiva degli anni di piombo.
Ci si guardi attorno. Di quei grandi movimenti politici “nati dalla Resistenza” non ne sopravvive più uno. I “duri e puri”, che avrebbero dovuto realizzare la palingenesi universale attraverso la rivoluzione mondiale, dopo una lunga e faticosa marcia, in cui hanno abbandonato pezzi e brandelli, sono crollati sotto il Muro. Il terremoto della Storia li ha seppelliti. Ed allora hanno cambiato nome, cancellato simboli, mutato radicalmente la loro visione del mondo e, per fare ciò, hanno dovuto raschiare via il loro passato. Il risultato è che siamo in sostanza un paese senza passato, in fondo al quale resta il tremulo lumicino del Risorgimento.
E’ tempo di andare oltre il passato non passato e di essere, forse per la prima volta, un Popolo. Un gran bel Popolo.
Paolo Sebastiani, avvocato (nessuno è perfetto!), accanito bibliofilo; ama la Storia, che approfondisce insieme a Winston, il suo bulldog inglese. Conduce Elzeviro, in diretta ogni lunedì alle ore 21 su TVR Più (Canale 13 Digitale Terrestre).
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